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Siamo d’accordo. La piazza è la piazza, e le elezioni sono un’altra cosa.

Ma oggi in piazza VIII Agosto ti senti davvero in altomare; raggiunto, travolto, cullato da onde di voci, canti, emozioni. Una piazza così non capita molte volte in tutta una vita. Quando? Quando finisce una guerra. Quando a San Siro cantava Bob Marley e tutto lo stadio ballava in una nuvola di fumo. Quando moriva un signore di nome Berlinguer. Quando – c’era questa usanza, ma tanto tempo fa – tutti i sindacati chiamavano tutti allo Sciopero Generale.

Altri tempi… ma la piazza di oggi, cosi giovane e colorata, così arrabbiata e sorridente, mi sembra avere quello stesso, strano e rarissimo sapore. Come quando senti che sta succedendo davvero qualcosa di nuovo. Domani, come al solito, i commentatori si divideranno: per alcuni sarà una piazza PRO, per altri una piazza CONTRO. Interrogativo capzioso, o interessato, e comunque un po’ stupido. Perché, se sono contro il nuovo fascismo, sono per una democrazia e una politica diversa. Se sono contro i Porti Chiusi, sono (automaticamente)  per i Porti Aperti, l’accoglienza, il dialogo, l’integrazione dei nuovi arrivati, i diritti per tutti, a partire da quello di Cittadinanza. Mentre canto in coro Bella ciao o leggo in piazza gli articoli della Costituzione, mando un messaggio preciso a una classe politica di Sinistra autoreferenziale, con pochissimo coraggio, inscatolata nei tatticismi.

Sono le 3 e mezza del pomeriggio e in piazza c’è già tanta gente. Ma è così enorme questa piazza… si riuscirà a riempirla? Sul palco si accordano gli strumenti, due schermi giganti rimandano l’immagine di una sardina azzurra tra le onde azzurre, insieme alla parola d’ordine di oggi:”Bentornati in mare aperto”. Tocca ai primi ospiti, tre brevi interventi di tre perfetti sconosciuti. Prima un signore di origine meridionale: “Sono arrivato trent’anni fa con la classica valigia di cartone e Bologna mi ha accolto”. Poi un ragazzo africano del Benin che racconta il suo viaggio della speranza. Infine una ricercatrice universitaria emigrata, tornata finalmente in Italia dopo 10 anni all’estero, l’unico modo per trovare da lavorare. Il tutto dura non più di un quarto d’ora, ma è un incipit che vale più di un biglietto da visita. E’ un altro messaggio: chiaro, preciso. efficace. Queste Sardine mi sembrano tutt’altro che ingenue, hanno in testa delle cose da dire. E le dicono.

Sono quasi sotto il palco, torno verso il fondo della piazza. Continua ad arrivare gente, moltissimi giovani, cartelli creativi con la firma di provenienza. Provo a scattare qualche foto con il cellulare, ma non è semplice, ho sempre qualche testa davanti che mi rovina lo scatto. Allora mi dirigo verso la Montagnola: da lì forse riesco a farmi un’idea di quanti sono, di quanti siamo. La Montagnola non offre una gran vista –  non è come affacciarsi dalla terrazza di Villa Borghese sopra Piazza del Popolo – ma tra alberi , transenne e lampioni vedo che ormai piazza 8 agosto è quasi piena. E molti, gruppi di studenti, famiglie con bambini al seguito, pensionati, hanno scelto di partecipare rimanendo sulle sponde della Montagnola.

Le 5 e un quarto. Decido di tornare verso la stazione. Voglio tornare a Ferrara per scrivere qualche riga su questa giornata. Cammino decisamente controcorrente, perché la corrente delle sardine mi viene incontro, continua a fluire dalla stazione ferroviaria verso la piazza. Mi inseguono le note del concerto; durerà fino a tarda notte. Gli ultimi che riesco a sentire sono gli storici Skiantos che attaccano duri con “Mi piaccion le sardine”. Applausi a scena aperta. Meritano fin d’ora il primo premio della giuria popolare.

In treno provo a fare un po’ di conti. Sento il radiogiornale dal cellulare. Sta parlando Mattia Santori, uno dei leader del movimento delle sardine bolognesi: “Siamo almeno 40.000”. Ma la festa è appena cominciata, quanti saranno fra un paio d’ore? Alla fine sarà impossibile fare un computo attendibile. Ogni giornale, ogni televisione, ogni partito sparerà il suo numero. Quello del manifesto sarà più o meno il doppio di quello denunciato da Libero. Quello della questura, come sempre: la metà esatta del numero dichiarato dagli organizzatori. Sprovvisto come sono di elicottero e di pallottoliere non azzardo cifre. Anzi, forse non sono neppure tanto importanti (infatti, come vedete, non ho scelto come copertina la solita foto panoramica della folla). Se mi chiedete in quanti eravamo, posso dirvi che eravamo un gran mare, anzi, un Oceano Mare..

Quanto alle elezioni regionali, staremo a vedere. Riempire le urne sarà ancora più difficile che riempire una grande piazza. Se c’è però la possibilità di vincere, di fermare al confine la marea leghista, non credo che dipenderà tanto da Bonaccini e dalle sue tante liste, ma dalla marea ostinata e contraria che oggi, 19 gennaio dell’anno del Signore 2020, è andata in scena a Bologna.  .

 

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

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Francesco Monini
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