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Io riscontro dovunque solo vili lusinghe
Ingiustizia, interesse, scaltrezza, tradimento;
Non posso contenermi, mi adiro, e mi propongo
Di mandare all’inferno tutto il genere umano

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locandina del film

Dopo il successo ottenuto con Le donne del 6º piano, Philippe Le Guay ci stupisce ancora con un film molto originale che ci presenta una vera e propria rilettura del Il Misantropo di Molière.
Il regista ha dichiarato, in alcune interviste, che l’idea è nata discutendo con l’attore Fabrice Luchini, qui grande interprete, che gli parlava in continuazione dell’opera del celebre commediografo francese e del contrasto tra i personaggi di Filinte e Alceste. Da qui lo spunto.
Il celebre (ex) attore teatrale Serge Tanneur (un bravissimo Luchini), ritiratosi dalle scene, conduce una vita solitaria sull’Île de Ré, nel nord-ovest della Francia, collegata con la città di La Rochelle tramite un ponte lungo tre km. Qui, vive come un eremita, in una vecchia casa fatiscente che ha ereditato da un lontano parente, godendo solo di lunghe e spensierate passeggiate in bicicletta.
Quando arriva la richiesta del collega, Gauthier Valence (noto attore di fiction) di tornare a recitare ne Il Misantropo di Molière, Serge si trova di fronte a una difficile decisione: da una parte, non vorrebbe tornare sui suoi passi, ma dall’altra, sente che la solitudine lo ha reso molto (troppo) simile al personaggio che deve interpretare…

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una scena del film, le prove de Il Misantropo di Molière

Tanneur potrebbe essere disposto a tornare a recitare solo se avrà il difficile ruolo di Alceste, a suo avviso, il più difficile e sfidante di tutto il teatro francese, ma Valance vorrebbe che interpretasse invece Filinte, che però “ha solo cinque scene”. I due decidono così di alternarsi ogni volta nel ruolo, e così faranno anche durante le prove della prima scena, che proveranno in modi diversi per svariate volte, quasi interrottamente per cinque giorni. E intanto, noi godremo nell’ascoltare le parole e le riflessioni sui versi alessandrini di dodici sillabe di un Alceste misantropo, insopportabile, a volte antipatico e saccente, ma sempre integerrimo, leale a un proprio ideale di purezza senza compromessi, per nulla incline alle smancerie e alla piaggeria di chi vuol farsi benvolere a ogni costo; un uomo che odia la frivolezza, i cuori volatili, fedele in amore, fortemente devoto.
Filinto, suo amico, è uomo di mondo, conosce le debolezze altrui e l’intima fibra del cuore umano e sa che questo volge inesorabile all’accomodamento, alla via di mezzo, al perdono complice.
I due amici-colleghi-rivali-antagonisti rispecchiano le psicologie dei personaggi che interpretano con grande intensità e passione: Serge/Alceste è ombroso, scontroso e lunatico; Gauthier/Filinto è piacente, amabile viveur; Serge/Alceste è un devoto del grande attore teatrale Louis Jouvet e perfezionista, allo stremo, nella recitazione; Gauthier/Filinto non si interessa affatto della dizione; Serge/Alceste è spiantato; Gauthier/Filinto è benestante; Serge/Alceste crede ancora fortemente nei princìpi; Gauthier/Filinto no.

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Una scena del film, con Celimene arriva l’amore

Tutto pare filare liscio finché arriva la bella e affascinante italiana Francesca/Celimene. E l’incantesimo si rompe. L’amore che sembra rivitalizzare e far rinascere, almeno per un momento, Serge/Alceste, alla fine però incrina tutto. Rimette in gioco un equilibrio che già era precario, facendo cadere l’instabile castello di carte.

 

 

 

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una scena del film, le scorribande in bicicletta

Bellissime sono le scorribande in bicicletta. Le sequenze su due ruote sono tra i momenti più divertenti e spensierati della commedia. Le pedalate di Serge e Gauthier sono occasione di confidenze, chiacchiere e scherzi, con la complicità di una malmessa bicicletta, senza freni, che gioca brutti scherzi alternativamente a uno e all’altro. E la pedalata a tre con Francesca è un momento liberatorio e felice che ricorda quella di Jules e Jim, di Truffaut.
La colonna sonora del film comprende musiche realizzate da Jorge Arriagada, la canzone italiana Il mondo, di Jimmy Fontana, e quella francese La bicyclette, di Yves Montand.
Ma tornando ai nostri personaggi, non possiamo non notare come il rigore di Serge sia, in fondo, egoista, invidioso e meschino, mentre Gauthier ci appare indulgente, tollerante, con una vitalità imperfetta, che però lo rende più simpatico e piacevole oltre che migliore e meno narcisista.
In una delle scene finali, Serge, che si reca alla festa in suo onore, in bicicletta, vestito in abiti seicenteschi, con un bel cappello piumato, riaffermerà la sua rigorosa psicologia. Davanti a tutti, reciterà il disinganno di Alceste che, ora, è anche il suo, un disinganno davvero terribile:

Troppe perversità troppo malanimo
Io chiuderò i rapporti con il prossimo
Troppo dolore le disgrazie portano
Tirandosi da parte più si sopportano
Poiché gli umani azzannan come lupi
Traditori! Non morirò nei vostri antri cupi

Mentre Gauthier avrà la sua rappresentazione teatrale, nel ruolo di Alceste, ora finalmente suo, Serge finirà solo, davanti a un tramonto sull’Atlantico, a declamare gli ultimi versi definitivi:

Ormai detestate l’umana natura…
Sì, per me è una spaventosa sciagura.

di Philippe Le Guay, Francia 2012, commedia 104 mn; con Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, Laurie Bordesoules, Camille Japy, Annie Mercier, Ged Marlon, Stéphan Wojtowicz, Christine Murillo, Josiane Stoléru, Edith Le Merdy.

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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