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I discorsi sull’8 marzo mi sono sembrati quest’anno un po’ meno retorici. Il filo comune mi pare il riconoscimento che le disuguaglianze non risiedono sul piano dei diritti formali, bensì su quello, opaco e apparentemente inossidabile, della vita quotidiana. Un richiamo al fatto che il superamento di discriminazioni non si limita ad una formale questione giuridica, ma richiede un lento processo di cambiamento sociale. Il dato che mi ha colpito di più riguarda le persistenti differenze nelle performance scolastiche, i migliori risultati delle ragazze in termini di titoli e di rendimenti scolastici (le ragazze sono più puntuali e dedicano tre ore in più alla settimana ai compiti) e la minore attitudine delle ragazze verso la matematica e le materie scientifiche (il divario è calcolato in circa tre mesi). Le ragazze leggono di più narrativa, i ragazzi preferiscono i quotidiani, i ragazzi giocano molto di più ai videogiochi. Sembrano delinearsi spazi di vita differenti, scenari di lavoro e interessi orientati verso luoghi separati: da una parte la scienza, la tecnologia e l’attualità e, dall’altra, le materie umanistiche e la letteratura.
Le attese e i modelli sociali condizionano gli orientamenti, visto che i dati sono diversi nei Paesi europei. Il tema della differenza parte ancora dalla scuola, quindi, quanto meno rispetto al mondo del lavoro. Alcune differenze vengono socialmente trasmesse e contribuiscono a perpetuare disuguaglianze.
L’approccio inclusivo è profondamente cambiato, l’attenzione si sposta sui processi reali, sulla vita quotidiana e i comportamenti. Su questo piano le riflessioni non sono confortanti. Resta una persistente disparità nel peso delle responsabilità domestiche tra uomini e donne, nel senso che sono queste ultime, anche nelle giovani coppie, a sopportare il maggiore onere di responsabilità. Questa differente fatica si riflette inevitabilmente dello spazio mentale e pratico dedicato all’investimento professionale. Storia nota si dirà, inoltre i cambiamenti sono sempre graduali e lenti.
Ma talvolta mi sorge il dubbio che le giovani donne oggi considerino le differenze in un certo senso naturali. Un dato contenuto nell’ultimo rapporto presentato dal Censis indica che il genere non è più un riferimento identitario. In una tabella che riporta le “opinioni sui fattori su cui si fonda l’identità, il 53% risponde l’educazione ricevuta, il 45% risponde la cultura e la stessa percentuale ottiene il carattere personale, mentre il 35% indica gli interessi e le passioni come fattore distintivo: questo ultimo dato vede una differenza rilevante per età, infatti supera il 50% tra i più giovani. La lista dei fattori è lunga e comprende, con valori decrescenti, il territorio in cui si è nati, la famiglia di origine, il lavoro, la nazionalità, il territorio in cui si vive. All’ultimo posto vediamo il reddito, considerato un fattore su cui si fonda l’identità solo dal 3,4% degli italiani. Al penultimo posto il genere, vale a dire l’essere maschio o femmina, con pesi diversi tra maschi (il cui 3% considera il genere rilevante) e le femmine (tra le quali l’8% lo considera tra i fattori di identità). Si tratta di percentuali molto basse, bassissime tra i millenials (3% medio).
Potremmo immaginare che i più giovani considerano il problema delle differenze di genere inesistente? Oppure cambia la prospettiva da cui lo si guarda e, semplicemente, l’essere maschio o femmina non viene più vissuto come elemento distintivo del sé?

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi. Studia i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

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