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da Roberta Trucco

“Il dibattito sull’identità nazionale rinvia necessariamente a un dibattito antropologico sulla nozione di persona, soggetto o individuo” queste le parole di Teresa Forcades, monaca catalana benedettina, teologa femminista, medica, fondatrice di un partito politico, che in questi giorni si è espressa a favore dell’atto di disobbedienza civile compiuto da buona parte del popolo catalano. Un popolo che si è messo diligentemente in coda per votare un referendum dichiarato illegittimo dalla Corte costituzione spagnola, rischiando, come di fatto poi è avvenuto, la ritorsione della polizia .
Ho conosciuto Teresa circa tre anni fa e come dice molto bene Michela Murgia “Teresa è l’infrazione vivente di tutti gli stereotipi dell’immaginario collettivo sulle suore” e, aggiungo io, sulle donne.
È teorica della teologia ‘Queer’, non intesa, come oggi viene spesso proposta, a sostegno di un genere fluido e dunque neutro, ma al contrario come teoria che valorizza fortemente l’unicità e l’originalità di ogni singolo individuo.
La sua capacità argomentativa e l’autenticità sua e delle sue consorelle benedettine, così limpida e pacifica, mi hanno colpito da subito. L’affetto che mi lega a lei e alle monache di Montserrat mi spinge a interrogarmi sulla questione catalana e a cercare di darne una lettura indipendente dal pensiero dominante. Quanto successo a Barcellona il 1 ottobre ha secondo me una valenza simbolica molto importante per tutti noi, non solo per i catalani. Non credo si possa derubricare a puro egoismo, legato a interessi e benefici economici, il comportamento di più di due milioni di persone. Un comportamento di massa così civile e coraggioso, che non ha risposto con violenza alla violenza subita, non s’improvvisa. E’ evidente: il popolo catalano che ha votato ci ha offerto una lezione altissima di disobbedienza civile. Ma, dunque, qual’è la motivazione profonda che ha spinto più di due milioni a comportarsi così?

Io credo che alla base la risposta sia proprio quella teorizzata dalla Forcades. Esiste un nazionalismo positivo, fondato sul valore che si attribuisce alla Nazione intesa come parte che costituisce il nostro essere persona. Ciò che siamo è anche il frutto di ciò che abbiamo ricevuto senza sceglierlo: lingua cultura, storia, terra, famiglia, nazione. La globalizzazione neoliberista tende a cancellare le nostre identità peculiari in nome di un bene astratto superiore, tende all’omologazione sacrificando le nostre differenze. Il capitalismo neoliberista ha bisogno di cancellare queste differenze per poter funzionare, ha bisogno di omologazione per non dovere affrontare la complessità contemporanea e in un certo senso ne hanno bisogno anche gli Stati Nazione.

Questa la lezione che mi sento di assumere da questa vicenda. La solidarietà che arriva da più parti nei confronti dei catalani mi pare un dato importante. Le strumentalizzazioni da parte di politici a favore di un nazionalismo violento e sciovinista ci sono e continueranno ad esserci. Con coraggio Teresa ,e molti come lei, si battono per far passare invece un nuovo concetto di nazionalismo .
Vale la pena seguire con attenzione quello che sta succedendo, senza pregiudizi e senza rimanere inchiodati a luoghi comuni che semplificano la questione catalana a un puro desiderio secessionista e tentare con loro la faticosa costruzione di nuovi immaginari capaci di dare avvio a modelli di convivenza sociale e politica più umani.

Roberta Trucco
Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini.
Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Intendo contribuire alla svolta epocale che stiamo vivendo con la mia creatività unita a quelle delle altre straordinarie donne incontrate nella splendida piazza del 13 febbraio 2011 di Se non ora quando. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.”

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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