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L’Italia, è noto, non gode di buon credito per quanto riguarda la libertà di informazione. Nel ranking mondiale si colloca al settantatreesimo posto. Ora la legge sulle intercettazioni, voluta da Renzi con decreto del governo (neanche del Parlamento), peggiorerà ulteriormente le cose… Evviva!
Le ‘riforme’ renziane vanno sempre dritte al sodo: quella della Rai si accompagna alle critiche ai talk-show, a un’insofferenza manifesta verso l’informazione libera, e risulta anch’essa funzionale e coerente al disegno di una destra di potere che punta al pensiero unico e prevede per il caro leader solo elogi e battimani. La legge in discussione, pacchianamente spacciata come riforma atta a tutelare la privacy dei cittadini, è un obbrobrio e una presa in giro. Primo, perché i cittadini perbene coinvolti erroneamente in intercettazioni (pochissimi) possono ricorrere alle leggi già esistenti per chiedere soddisfazione; secondo, perché tutte le intercettazioni richieste dai magistrati vanno autorizzate e sono rivolte sempre verso individui sospettati di reato.

L’attacco continuo alla libera informazione come alla magistratura – con la legge sulla responsabilità civile – puntano a difendere ‘quelli che contano’, quelli che al grido del “lei non sa chi sono io” fanno strame della legalità o dell’etica pubblica. Si stanno archittetando nuovi livelli di impunità per la casta, la politica sporca, gli intrallazzi.
Magistratura, giornalismo, specie d’inchiesta (si pensi ai grandi servigi che rende alla verità una giornalista come Milena Gabanelli), vanno ridimensionati se non zittiti. Pubblicare solo intercettazioni che riguardano ipotesi di reato? E solo dopo che un tribunale si è espresso? Campa cavallo… Siamo il paese dei cavilli, dei corsi e ricorsi, delle prescrizioni e che ora aggiunge un tassello in più a favore degli imputati: vietato produrre nelle aule giudiziarie prove processuali ‘rubate’ (che vuol dire?) ai giudicanti. Anche per i giornalisti ci sono sanzioni se intervistano o filmano di soppiatto personaggi o situazioni degne di cronaca. Prima il galateo, poi il resto. Ma l’argomento forte per i garantisti d’alto bordo in servizio permanente effettivo sta nel divieto di pubblicizzazione di intercettazioni che coinvolgano altre persone entrate in contatto ‘occasionalmente’ con sospettati. Una formulazione ad hoc per quei politici e potenti che se pescati in compagnia o al telefono o fotografati con sospettati, rinviati a giudizio o addirittura condannati, si trincerano dietro l’ignoranza o l’occasionalità della circostanza e quindi la non gravità del fatto.

Una domanda: esiste la privacy per chi fa politica o dirige enti e istituzioni pubbliche importanti? Se esiste ha margini ristrettisimi. Per costoro si applica un ‘di più’ che si assomma alla valutazione dei reati (ci mancherebbe!) e ricomprende anche scelte inopportune o sconvenienti di cui devono dare conto non a un tribunale, ma alla pubblica opinione. Devono sapere e rispondere di chi incontrano, chi li finanzia e perché, con chi pranzano, a chi telefonano… E’ giusto che il Berlusconi di Ruby e delle olgettine venga ‘conosciuto’ dai cittadini-elettori italiani anche per la sua discutibile vita privata? Sì se è Presidente del Consiglio, perché diviene ricattabile (ed è ciò che è avvenuto). E’ giusto essere informato che il deputato X, caloroso sostenitore del family day, un giorno, anzi una notte, viene pescato in un albergo con una prostituta e droga annessa? Se va proclamandosi acerrimo nemico della criminalità organizzata e poi va a portare la propria solidarietà a Dell’Utri e Cosentino in carcere perchè condannati per contiguità con mafia e camorra è un dato pubblico o privato? Le intercettazioni hanno sollevato i casi Lupi, Cancellieri, De Girolamo, Fassino (“abbiamo una banca”), la strana telefonata di Renzi a un generale della finanza, i due imprenditori che sghignazzavano sul terremoto dell’Aquila – alla faccia della funzione sociale dell’impresa come recita la Costituzione – e via razzolando, vanno raccontati o no? E’ questo il sottobosco che si vuole sottrarre all’attenzione degli italiani con la nuova legge.
Va detto chiaro e forte. Si vuole un’informazione dimezzata che taccia sui tanti dottor Jekill e mister Hide che circolano nelle aule parlamentari o nelle alte sfere. Il reato peggiore per chi esercita un ruolo pubblico è predicare bene e razzolare male. “O tempora o mores” recitavano gli antichi. Io completo: con il renzismo imperante “mala tempora currunt”.

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Paolo Mandini


PAESE REALE

di Piermaria Romani

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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