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Ringrazio tutti coloro che mi hanno onorato commentando il mio articolo sulla crisi della sinistra.
Sono sollecitato in particolare dalle considerazioni di due professori dell’Università di Bologna, Franco Malinconi e Raffaele Mosca, che mi offrono tutt’altro che trascurabili elementi di dialogo e riflessione di cui non si può non tenere conto.
Voglio rassicurare il professor Malinconi che il mio giudizio politico sull’operato dei vari D’Alema, Bersani etc. è negativissimo, la preoccupazione che mi assilla è che agli ultimi, disastrosi vent’anni Renzi aggiunga un altro capitolo negativo. Ci sono tutte le premesse. Chi le scrive votò Renzi alle primarie con la – inquieta – speranza di un nuovo, che a sinistra s’imponeva visto il disastroso bilancio ventennale che avevamo alle spalle. Non sono perciò un nostalgico del passato che, sono d’accordo, non è sempre migliore per definizione. Sono semplicemente un deluso, che ricorda a tutti che si può e si deve lottare per riavere una politica seria e rigorosa, una democrazia salda ed efficiente, per Istituzioni rispettate e riconosciute. Il 50% dei cittadini aventi diritto che non vanno a votare non è un dato statistico, ma bensì politico preoccupante. Vorrei leader e grandi gruppi dirigenti, in grado di esprimere una progettualità e una coerenza tra valori professati e azione quotidiana. Dopo un anno e mezzo di governo Renzi siamo di fronte a un leader e a un governo mediocri, che emanano leggi pasticciate (alcune pericolose), che procedono all’insegna della superficialità e dell’approssimazione, che falsificano dati a fini propagandistici, che avanzano proposte economiche quasi sempre gradite a una destra arretrata, che di liberale ha ben poco. Il tutto condito dalla insopportabile autocelebrazione di se stessi come innovatori e riformatori. Anche quando l’evidenza lo nega. Penso al falso in bilancio, all’auto-riciclaggio, a provvedimenti sulla giustizia e alla moralità pubblica, all’evasione fiscale etc., riformate con annessa scappatoia per i lestofanti.
Del commento di Raffaele Mosca condivido gran parte delle stimolanti riflessioni, che mi portano a valutare più ampiamente le modificazioni epocali che stanno interessando il pianeta. Giustissimo. I grandi eventi di questi anni hanno messo in luce l’inadeguatezza delle forze progressiste nel mondo: hanno subito passivamente il cambiamento che altri hanno diretto e vogliono imporre secondo propri fini e interessi. Vado per capitoli: Tony Blair la guerra in Iraq, la politica economica Tchacheriana, l’appoggio totale a uno dei peggiori presidenti degli USA, Bush. Hollande e la sua politica incomprensibile ai più. Il Brasile e l’attuale gestione di “sinistra”, disastrosa anche agli occhi del terzo mondo. I socialdemocratici tedeschi afoni e insignificanti sul tema dell’immigrazione che hanno fatto sì che la Merkel apparisse un gigante. Voglio dire che è difficile essere di sinistra oggidì, ma se anche sugli spazi che la storia ci offre si latita è ovvio che altri dirigeranno a modo loro “gli eventi epocali”.
Rifiuto l’infingardaggine di chi mi dice “così va il mondo cosa ci vuoi fare!” Intanto perché c’è un’etica della responsabilità individuale che impone di reagire, indignandosi, verso ogni ingiustizia e sopraffazione. E poi perché giocare al ribasso significa iscriversi da subito tra i perdenti. Lenin scrisse ai tempi che furono: “Estremismo, malattia infantile del comunismo”. Se fosse vivo oggi, oltre ad una doverosa autocritica su quanto fece e scrisse, gli chiederei un saggio diverso: “Il minimalismo malattia senile della sinistra”. Vedo tanti rassegnati in quel 50% che non vota o nella base del Pd che allargando le braccia mi sospirano: “meglio un governicchio di (finta n.p.) CENTRO (grande) sinistra (piccolo) che uno di destra”. La rassegnazione come scelta di vita ha sostituito la passione. Sono un velleitario? Può darsi. Voglio, anzi vorrei, una sinistra che si batte per idee e valori che vanno sì aggiornati, ma non contraddetti o annacquati. Solidarietà, giustizia sociale e legalità (la forza dei deboli), non sono merce trattabile. La sinistra italiana che ho conosciuto non è mai stata radicale caro Raffaele. Frange radicali vi furono, ma mai influenti. Togliatti imbarcò i monarchici al governo, votò l’articolo 7 della Costituzione, contribuì alla stesura di una Costituzione che impegnava tutti a scegliere il terreno democratico come luogo di confronto e scontro. Berlinguer si adoperò per un compromesso storico che era politico ma anche sociale (tra le classi). Di Vittorio, Lama, Trentin non erano sindacalisti “arroccati”, sono sempre stati percepiti come grandi innovatori e uomini di sinistra a tutto tondo, di cui andar fieri. Senza i sindacati e il PCI il terrorismo non sarebbe stato sconfitto. Oggi nel sindacato va tutto bene? Tutt’altro. In ogni caso, sarei perplesso se nel cambiamento trovasse il plauso di Squinzi e Marchionne. Ciascuno faccia la propria parte. Modernità e innovazione sono processi inarrestabili. Talvolta devastanti. Alla sinistra che ho in mente il compito-dovere di governarli e promuoverli senza alcun timore, ma con in testa un punto fisso: l’uomo e la sua dignità.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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