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Una cornice per specchio in legno di noce intagliato del 1505 (da Londra), un’arazzo in lana e seta del 1475 raffigurante la battaglia di Roncisvalle (da Londra), “Una battaglia fantastica con cavalli e elefanti”, disegnata da Leonardo da Vinci (e gentilmente concessa dalla regina Elisabetta), un’armatura da giostra e battaglia integrale del 1510 (da Parigi), la lettera di Isabella d’Este a Ippolito d’Este (da Modena), la Minerva del Mantegna (da Parigi), il cavaliere di Maggio del Maestro dei mesi (dal Museo della Cattedrale di Ferrara), la Giuditta con la testa di Oloferne di Vincenzo Catena (da Venezia), il San Giorgio e il drago di Paolo Uccello (da Parigi), La “Charta del navicare per le isole novamente trovate in la parte de l’India del 1500 (da Modena), il manoscritto delle Tragedie di Seneca del XIV secolo (Biblioteca apostolica Vaticana), il Globo dell’obelisco vaticano in bronzo dorato, recante i colpi degli archibugi dei Lanzichenecchi (da Roma), l’archibugio a ruota del 1520 (da Parigi).

Basterebbe sbirciare nella lista delle opere giunte da poco a Palazzo dei Diamanti per capire che la mostra che aprirà i battenti questo sabato, 24 settembre, non è una mostra come le altre. Tutti questi oggetti sono le tappe di un labirinto fatto di quadri, incunaboli, arazzi, armi, lettere, immagini, trame che conducono nella mente di Ludovico Ariosto. L’obiettivo insomma è sondare le sinapsi di una delle menti più geniali del Rinascimento Italiano. Non per niente sarà obbligatoria, o per lo meno vivamente consigliata, l’audioguida (inclusa nel prezzo del biglietto) da usare come un tomtom per non perdersi nel labirinto di fantasia, realtà, epoche e personalità diverse che è l’intreccio di questa esposizione.
Se ciascun oggetto, artistico o storico, rappresentasse un punto, collegare i punti è stata la straordinaria impresa compiuta da Guido Beltramini e Adolfo Tura, curatori della mostra che celebra i 500 anni dell’Orlando Furioso. In breve varcando le soglie dello spazio espositivo del Palazzo estense dobbiamo essere pronti ad un’avventura senza tempo e senza limiti, perlustrare stanza dopo stanza per poter rispondere alla domanda: Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi? “La scelta più facile sarebbe stata quella di fare una mostra sulla fortuna figurativa dell’opera di Ariosto – ha spiegato Beltramini -, ma sarebbe stata una mostra sugli altri, su Tiziano, Cosmé Tura, Dosso Dossi e così via. Noi volevamo parlare di Ariosto, del suo immaginario e di come questo si è formato”.

Questa mattina 19 settembre siamo entrati a dare una sbirciata dietro le quinte, per vedere la mostra che prende vita, i curatori e gli studiosi che mettono a punto gli ultimi ritocchi, gli operai che sistemano, spostano, scartano, illuminano. Fermandosi a guardare la prima carta geografica che raffigura le verdi coste americane da poco scoperte, opera di un anonimo porteghese, si rimane a bocca aperta. Ma è proprio in quel momento che si capisce che durante la visita della mostra in realtà noi non andiamo in cerca di Ariosto, noi siamo Ariosto. Lo riportiamo in vita. Noi cioè, è questa la grande idea che sottende tutta l’esposizione, riproduciamo nei nostri occhi spalancati quelli dell’artista che ha fruito le stesse opere elaborandole poi nel suo capolavoro. In questo percorso mentale e visivo, l’allestimento è un cantiere aperto, perché si rinnova ad ogni fruizione. Come in molte opere contemporanee e videoinstallazioni. Una mostra-opera che starebbe bene anche alla Biennale di Venezia.

Passando di sala in sala, dalla tela di Cosme Tura a quella di Raffaello, dalla Minerva del Mantegna alle sculture di cavalieri medioevali, si scopre di quanti elementi è fatta un opera, di quanti incontri è fatta un’idea. Ma soprattutto si scopre qualcosa in più di noi che come Ariosto abbiamo il nostro immaginario, il nostro paese interiore popolato da forme, ideali, immagini. L’impegno alla fine della mostra è ricostruire quali elementi formano il nostro paesaggio, stanare i nostri ippogrifi. Per questo l’evento espositivo dei Diamanti è dedicato sia ai superesperti che ai profani assoluti: è un labirinto dove ognuno può prendere le strade che vuole con la certezza di incontrarsi alla fine in un solo uomo: Ludovico Ariosto.
“Dopo questa mostra – assicura l’assessore alla Cultura, Massimo Maisto – il rapporto tra Ferrara e Ariosto non sarà più lo stesso”. Tra l’altro, come si evince anche dalle ultime sale, il panorama politico ed economico nostro e del poeta non è poi così diverso. Lo ha spiegato Beltramini: “Allora l’Italia affondava in una grave crisi economica, in balia delle varie potenze straniere, le istituzioni e i governi del Paese litigavano tra di loro”. In questa situazione drammatica cosa può unire il Paese? La risposta è, oggi come allora, la cultura e la creatività tutta italiana.

La mostra che oltre al lavoro dei curatori ha visto l’apporto fondamentale di Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e di un comitato scientifico composto da studiosi di letteratura e da storici dell’arte, resterà aperta fino all’otto gennaio del prossimo anno.

Da non perdere: Il baccanale degli Andrii, di Tiziano Vecellio, il pezzo più bello dei Camerini di alabastro di Alfonso che non tornava in Italia dal 1500; l’opera grafica a cura dello studio Fludd e della professoressa Cristina Montagnani, esperta dell’Ariosto, che raffigura la trama del Furioso.

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Daniele Modica


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di Piermaria Romani

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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