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di Markus Schombel
tratto da pressenza

Qualche tempo fa ho visto un video in cui una persona indigena rifletteva su questo tema. Diceva che spesso gli viene chiesto cosa possiamo fare per rispondere alle sfide di oggi. In risposta, riunì un gruppo di indigeni che deliberarono. La loro conclusione unanime è stata: “Chiedi al tuo cuore”. Chiedete al vostro cuore, da lì viene la risposta.

Oggi si potrebbe forse ancora distinguere tra indigeni adattati o civilizzati e indigeni originari o liberi. In realtà ci sono stati così tante migrazioni tra i popoli in passato che nessuno può dire chi sia sempre stato indigeno da qualche parte. I Gaudiya Vaishnava, ad esempio, affermano che gli Arya sono sempre stati di casa nei luoghi sacri dell’India. Secondo la storiografia occidentale, tempo fa in India vivevano i Dravidi che in un secondo momento furono soppiantati dagli Indo-Ariani provenienti dalla Persia, che si appropriarono della cultura vedica.

Dipende anche se lo guardiamo dall’esterno, fisicamente, o dal punto di vista della coscienza e dello stato d’animo. Anche a Tenerife, prima degli spagnoli, c’erano i Guanci, un popolo berbero. Nessuno sa perché siano arrivati lì o chi ci vivesse prima. In Sud America, i portoghesi e gli spagnoli si sono mescolati con gli Inca, i Maya e gli Aztechi.

Il vero punto è lo stato d’animo interiore e la connessione con la natura e l’assoluto. Finora la nostra civiltà ha seguito la strada della distruzione di tutto ciò che era indigeno, per poi lamentarsi di ciò che avremmo potuto imparare. È quello che è successo in America, in Africa e in Australia. Credo che ancora oggi si parli di pensiero postcoloniale. Stiamo ormai cercando luoghi vitali e risorse nello spazio mentre non abbiamo ancora rinunciato a questo pensiero coloniale e probabilmente continueremmo a comportarci allo stesso modo, sempre e ovunque. Così trascuriamo e distruggiamo l’essenziale, sognando già i corpi macchina.

Sarà quindi difficile trovare e interpellare dei popoli indigeni veramente originali e liberi. O sono popoli non contattati che si ammalano e muoiono al solo incontro con noi. Oppure hanno deciso così consapevolmente di opporsi alla nostra civiltà che si sono volontariamente ritirati o addirittura estinti. In Australia, ad esempio, si dice che ci fosse un popolo che viveva nudo sulle fredde e rocciose isole della Tasmania. Sono stati i primi a estinguersi con l’arrivo dei colonialisti. Ci sono storie di persone che hanno lasciato volontariamente la terra in pace nel momento giusto e quando le circostanze erano diventate troppo avverse.

La ricerca dell’indigeno è quindi la ricerca di noi stessi, del nostro essere e della nostra connessione, del nostro senso di ciò che sta succedendo. Tutti i cambiamenti iniziano con una scelta chiara: adattarsi, resistere o morire. Senza questa decisione non si può parlare di libertà e di pace. Ciò si riflette anche nella domanda di Socrate su cosa sia più importante: una lunga vita o una buona vita. Anche il Signor Schäuble (ex-presidente del Bundestag tedesco, N.d.T.) ha affrontato la questione chiedendo cosa sia la dignità umana: preservare ogni vita il più a lungo possibile o vivere e morire nel modo più autodeterminato possibile.

Se vogliamo migliorare qualcosa, è la consapevolezza di questo. Perdere la paura della morte, distruzione, sofferenza e miseria. Finché questo eserciterà un fascino troppo forte su di noi, continueremo a giocare con il fuoco e a bruciarci gravemente. Poi cerchiamo colpevoli e capri espiatori come Putin o i non vaccinati e ci sentiamo ancora nel giusto. Nella misura in cui rinunciamo a questo comportamento avverso e illogico, arriverà la pace.

(Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid. Revisione di Filomena Santoro)

In copertina: Foto di Oficina de plantas nativas Fulni-ô com Xumaya Xya

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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