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Il 2 novembre 2020 è morto Bartolomeo Sorge. Aveva compiuto da pochi giorni 95 anni, essendo nato il 25 ottobre 1925 all’Isola D’Elba.
Ad alcuni il nome può dire poco, ma il punto non è tanto elencare quante cose sia stato: gesuita, teologo, politologo, direttore de La Civiltà Cattolica,  Aggiornamenti Sociali e Popoli, protagonista della Primavera di Palermo (1986-1996) all’istituto Padre Arrupe insieme con il gesuita Ennio Pintacuda, collaborato alla stesura dell’Octogesima Adveniens, la Lettera Apostolica di Papa Paolo VI del maggio 1971, e tanto altro.
Ricordarlo significa, piuttosto, mettere a fuoco alcuni snodi, tuttora non digeriti, nella Chiesa e nel cattolicesimo italiani.

Lo spunto è un suo scritto del 2019 per La Civiltà Cattolica, che diresse dal 1973 al 1985: Un probabile sinodo della Chiesa italiana? Dal primo convegno ecclesiale del 1976 a oggi.
Per Giuseppe De Rita, protagonista di Evangelizzazione e promozione umana (Roma, ottobre 1976) insieme con lo stesso Sorge, Filippo Franceschi (vescovo di Ferrara dal 1976 al 1982) e Achille Ardigò, quello fu “il coraggio di osare” (La Civiltà Cattolica ottobre 2020, intervistato dal direttore Antonio Spataro).
Dietro l’avvenimento ci fu la regia del vescovo Enrico Bartoletti, segretario della Cei, che però non fece in tempo a vederne la celebrazione, perché morì improvvisamente nel marzo di quello stesso anno. Tanta fu l’eco, che la Conferenza dei vescovi italiani decise di cadenzare i convegni ecclesiali ogni dieci anni.

Eppure, l’irrompere del vento conciliare nella Chiesa italiana di lì a poco si interruppe.
I motivi furono diversi. Alcuni, cronologici, li enumera lo stesso De Rita nell’intervista a Spataro: il pontificato di Paolo VI volgeva al termine senza più la spalla del fidatissimo Bartoletti, oltre al fatale 1978 con l’epilogo della vicenda Aldo Moro e la morte, il 6 agosto, dello stesso Papa Montini.
Ma furono le due principali proposte di Evangelizzazione e promozione umana che, secondo Bartolomeo Sorge, subirono uno stop: lo stile del convenire e la nuova concezione missionaria.
La non accettazione dei due punti di svolta ebbe il suo epilogo a Loreto nel 1985 (Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini), quando il nuovo pontefice, Giovanni Paolo II, scrisse in preparazione di quel secondo convegno: “l’episcopato abbia il posto che gli compete per istituzione divina”.
Dallo stile del convenire, in cui vescovi e laici riscoprivano la comune radice battesimale della missione e cittadinanza ecclesiali, si tornava a rimettere le cose nella loro tradizionale distanza.

“Da Loreto a Firenze – scrive Bartolomeo Sorge – i convegni che seguirono furono visti come l’occasione propizia per i vescovi di comunicare al popolo di Dio che è in Italia, con autorità – occupando il posto che gli compete per istituzione divina –, il programma pastorale per il successivo decennio”.
Così avvenne per la concezione missionaria. Se nel 1976 si diceva che non bastavano più dichiarazioni, documenti ufficiali dei vescovi e principi dottrinali, per affermare una nuova forma di presenza dei cattolici nella scena sociale e politica, la prospettiva mutò quando arrivò Camillo Ruini.

“Si renda conto – ne ricorda De Rita il monito – che noi siamo qui non per cambiare la società, ma per predicare il Vangelo”.
Parole che fanno il paio con quelle scritte da padre Sorge su Aggiornamenti Sociali (2009), ricordando Giuseppe Lazzati, storico rettore dell’Università cattolica di Milano e autore dell’espressione Città dell’uomo, che il gesuita scomparso lo scorso 2 novembre usò per intitolare la scuola di formazione politica a Palermo.

Sorge ricorda una lettera che i leader di Comunione e Liberazionedon Luigi Negri, don Angelo Scola, Rocco Buttiglione e Roberto Formigoni – gli indirizzarono il 10 febbraio 1977, delusi dal convegno ecclesiale del 1976, per la mancata “conferma – scrissero – che il problema è quello del recupero di un’identità ecclesiale di fronte al mondo, e quindi di un apporto specificatamente cristiano ed ecclesiale alla soluzione dei problemi umani della nostra società”.
In gioco c’era, e c’è, la questione di fondo della partecipazione a pieno titolo dei laici all’unica missione evangelizzatrice della Chiesa, secondo il criterio della laicità, cavallo di battaglia teologico di Lazzati.
Il punto è se si vuole riconoscere senso alle realtà temporali, rispettandone l’autonomia e, appunto, la laicità, oppure se il mondo vada convertito. Da qui il tipo d’impegno dei cattolici nella Città dell’uomo: se cioè vada costruita-ripristinata una società cristiana (nel perdurante mito della cristianità perduta), anche a costo di prove muscolari, oppure se tale impegno debba assumere lo stile del dialogo e della collaborazione con uomini e donne di buona volontà, lontano da ogni collateralismo o nostalgie del partito cattolico.

Per questo Lazzati fu sempre contrario, e con lui Sorge, tanto a strumentalizzare le realtà temporali a fini religiosi, quanto la fede a fini politici.
Fu questo il terreno pastorale su cui si svolse la partita tra la Scelta religiosa’ dell’Azione Cattolica di Vittorio Bachelet e la Presenza di Comunione e Liberazione di don Luigi Giussani, che vide la prima uscirne nettamente sconfitta.
Comunione e liberazione vinse quel confronto con l’appoggio determinante del pontificato di Karol Wojtyla e della Cei durante il lungo regno di Camillo Ruini, secondo il modello di una Chiesa “forza sociale” oltre che spirituale, con tanto di richiami all’unità politica dei cattolici.

Avrebbe dovuto consumarsi per intero quella stagione, fino agli esiti per certi versi emblematici del Celeste Formigoni, prima che un nuovo pontefice riprendesse i fili di quel cammino interrotto. È successo al convegno ecclesiale di Firenze (novembre 2015), quando Papa Francesco nel suo discorso ha detto: “spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme”, quasi volendo ripartire dal quel con-venire che fu il motore di Evangelizzazione e promozione umana.
Qui Bartolomeo Sorge, significativamente dalle pagine di Civiltà Cattolica, ha voluto andare oltre lanciando nel 2019 l’appello di un Sinodo, perché più che un convegno alla Chiesa italiana servirebbe l’andatura del camminare insieme.

Il problema è che i decenni trascorsi hanno fatto tabula rasa di fermenti, riferimenti, idee e speranze, e riprendere i fili di un discorso prosciugato nei contenuti e nei metodi, in un tempo peraltro profondamente cambiato, appare compito – in primo luogo formativo – lungo e arduo, anche per un laicato nel frattempo largamente ridotto a uno stato silente, o quasi.

Cover: Padre Bartolomeo Sorge parla a un seminario (Wikimedia commons)

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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