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Di norma all’intervistato si dà del lei, anche quando si ha confidenza. E’ una vecchia regola non scritta del giornalismo che serve a non creare nel lettore l’impressione di un rapporto privilegiato che lo escluda. Ma in questo caso sarebbe stata una forzatura eccessiva. Il mio interlocutore è Gaetano Sateriale, accanto al quale, giorno dopo giorno sino al 2009, ho lavorato per quasi otto anni come responsabile dell’ufficio stampa dell’amministrazione comunale, quando lui era sindaco della città. Ho quindi ritenuto più onesto presentare la conversazione come si è svolta, senza infingimenti, nella cordialità e in amicizia.

Dacché non è più sindaco, è la prima volta che Sateriale, oggi coordinatore della segretaria generale della Cgil nazionale, accetta di parlare così diffusamente di politica, sindacato e di Ferrara. Quel che ne è scaturita è una radiografia molto lucida del nostro Paese e, per conseguenza, un’immagine poco consolatoria. E’ una fotografia senza effetti speciali, un resoconto – condivisibile o meno che risulti agli occhi del lettore – di certo rigoroso e per nulla indulgente, come è nel suo dna.

Per comodità di fruizione abbiamo diviso la conversazione in due grandi blocchi tematici che pubblicheremo su ferraraitalia in altrettante puntate, oggi e domani. La prima parte del colloquio, quella che segue, è relativa ai temi nazionali della politica, del lavoro e del sindacato. Domani, nella seconda parte, si affrontano le questioni ferraresi e gli orizzonti generali di sviluppo.

Sulla tua pagina Facebook hai scritto: “Dopo tanti anni (44) sono improvvisamente rimasto senza partito da ascoltare, discutere, criticare, partecipare, condividere”. Sei cambiato tu o è cambiata la politica?
Forse entrambi. La politica è certamente cambiata in peggio: demagogia, populismo mediatico, messaggi pubblicitari ingannevoli, partiti azienda, partiti liquidi, consorterie, gruppi di famiglie… E in peggio sono cambiato anche io, sicuramente: non credo più alle frottole e non mi diverte un Paese che ci mette vent’anni a capire che dietro le parole dei leader non c’è niente, se non la battaglia per il potere. So bene che la politica è anche questo (fin dalle sue origini), ma quando è solo questo non mi interessa.

Cosa significa questo disamoramento per te personalmente? Come vivi questa condizione?
Posso fare una battuta? Comincio ad avere con la politica lo stesso rapporto che ho con il calcio: mi piace guardarla e commentarla e tifare quando è di qualità, altrimenti meglio leggere un libro o vedere un buon film. E da qualche anno la politica non è più di qualità: né nella maggioranza, né all’opposizione. Non sono mai stato e non diventerò un qualunquista, ma non vedo attorno a me un luogo in cui abbia senso impegnarsi e nemmeno un partito che ti chieda un qualche impegno, per la verità. Anzi, se cerchi i dirigenti, l’impressione è che gli dai un po’ fastidio… Per fortuna continuo a occuparmi di problemi sociali concreti e a lavorare in un’organizzazione che con tutti i limiti è ben radicata nel mondo reale.

Davvero? Eppure la gente non distingue più tanto tra partiti, sindacati e istituzioni…
Quando vado in giro a fare iniziative dico sempre, specie ai giovani dirigenti che a volte sembrano spaesati: “Tranquilli che la Cgil ha le spalle robuste, siamo l’organizzazione più radicata nel paese assieme ai Carabinieri e alla Chiesa cattolica”. Luciano Lama diceva meglio: “I governi passano, la Cgil resta”. Questo non vuol dire che possiamo stare fermi, anzi… Anche noi dobbiamo innovarci perché dopo la crisi niente sarà più com’era prima. Ed è qui che dobbiamo stare attenti: a non imitare i partiti, a mantenerci autonomi e concreti di fronte ai cambiamenti. Per fortuna un sindacato mediatico non ha senso. Ma sono abbastanza tranquillo su questo punto, malgrado i ritardi e gli errori.

Quali ritardi ed errori? Puoi fare qualche esempio?
Il più clamoroso esempio è il rapporto con i precari, che sono poi le giovani generazioni di lavoratori. Siccome i nuovi lavori non ci piacevano abbiamo pensato di combatterli per legge, invece che proteggerli e migliorarli contrattualmente. In questo modo abbiamo perso rapporti con migliaia di giovani lavoratori che sono senza tutela e non vedono il sindacato come qualcosa che gli appartiene. Ma noi non siamo diventati un soggetto virtuale: alla fine facciamo trattative e firmiamo (o non firmiamo) accordi. Non inseguiamo il potere per il potere. Basta pensare alla differenza tra i gruppi dirigenti in periferia. Magari i nostri litigano fra loro, con le strutture regionali, con il nazionale in qualche caso, ma non si schierano con questo o con quello a prescindere, cercando di puntare sul cavallo vincente. La Cgil il congresso lo fa ancora su documenti programmatici discussi in migliaia di assemblee: non votiamo uno o un altro segretario a prescindere. Siamo all’antica, se vuoi…

L’autocritica si limita a un errore nei confronti dei giovani precari?
C’è anche uno speculare sul lavoro pubblico. Ci siamo giustamente difesi dagli attacchi sgangherati di Brunetta ma non abbiamo ancora accettato di discutere e di essere protagonisti della riorganizzazione efficiente della Pubblica amministrazione. Al contrario di quanto abbiamo saputo fare nell’industria degli anni ’80 e ’90 in cui siamo passati dalla difesa dei posti di lavoro tal-quali a un progetto di riorganizzazione con al centro la qualità e il superamento del taylorismo che svalorizzava il lavoro. Nella Pubblica amministrazione il sindacato non propone il nuovo e difende il vecchio. Ma quel vecchio è ormai visto da tutti (imprese e cittadini) come indifendibile e insopportabile.

Da quanto dicevi prima sulla politica, si desume un giudizio negativo sul nuovo segretario del Pd, Renzi…
L’ho incontrato una sola volta quando era presidente della Provincia di Firenze, non posso dare un giudizio comprovato. A pelle non mi piace: mi sembra un giocoliere delle parole e non abbiamo certo bisogno di un nuovo televenditore… Certo, sa muoversi con abilità e spregiudicatezza ma temo sia una dote che non poggia su una preparazione seria. Non posso generalizzare, ma quando lo sento parlare di lavoro è evidente che non sa di cosa parla. In un Paese con milioni di disoccupati Renzi pensa che si debba intervenire con una legge sul mercato del lavoro invece che creare nuovi posti qualificati e stabili con una politica economica espansiva. Dietro le parole nuove, molto continuismo…

Non ti sono parse interessanti la proposta di Civati e il percorso di Barca?
Civati non l’ho capito molto: forse ho i riflessi lenti ma quelli che saltano troppo in fretta da una parte all’altra non riesco a seguirli. Il documento di Barca mi convince, ma lui ha deciso di non candidarsi. Peccato, era l’unico che avanzava un progetto di trasformazione innovativa del partito ricollegandosi al territorio, alla militanza, alla partecipazione cognitiva. Ma è andata così. E ho deciso di non votare per ripiego, o per antipatia o per rabbia, laddove non potevo farlo per convinzione. So che molti hanno votato più per delusione del vecchio che per convinzione del nuovo. Io ho preferito non votare: non pretendo di avere ragione…

Dopo 10 anni da sindaco sei tornato in Cgil, qualcuno dice con un ruolo da ‘eminenza grigia’…
Nessuno in Cgil può fare l’eminenza grigia, per fortuna. Ci sono gli organismi dirigenti che discutono e votano. Da noi non ci sono tanti pseudo leader che si contendono le poltrone. E non c’è una guerra di potere spacciata per rinnovamento generazionale. C’è una collegialità che prevale. Io do una mano, per quel che posso, cercando di mettere la mia esperienza al servizio del gruppo dirigente di oggi. Le mie diverse esperienze, dovrei dire…

Però la dialettica tra Cgil e Fiom sembra dire il contrario: a volte con una certa asprezza. E poi Landini e Renzi talvolta si scambiano strizzatine d’occhio…
La dialettica tra Cgil e Fiom c’è sempre stata a segnare i passaggi di fase: nel ’56, nell’’80 e oggi. Se non supera il confine dell’autonomia del sindacato e non scivola in politica è una dialettica utile a migliorare la nostra organizzazione. Quanto alle strizzate d’occhio, vedremo: se Renzi mi strizzasse l’occhio mi guarderei alle spalle e sarei non poco preoccupato…

Anche il sindacato, come i partiti, sconta da anni una profonda crisi di rappresentanza. Qualcuno, e non da oggi, è arrivato a metterne in discussione non solo le logiche, ma il ruolo. A tuo parere come si supera la montagna?
I Paesi in cui il sindacato non c’è o conta poco o è subalterno alla politica sono Paesi in cui non c’è la democrazia. Quel misto di berlusconismo e liberismo che abbiamo vissuto negli ultimi 20 anni ha cercato di indebolire il ruolo dei corpi sociali intermedi e di arruolare il sindacato alla politica del leader (e mettere al bando la Cgil che non ci stava). Gli ultimi due anni sono a corrente alterna: il sindacato viene chiamato nei momenti di bisogno e in genere non ascoltato; basti pensare all’allarme sul lavoro e sugli esodati che abbiamo subito lanciato al governo Monti (e ripreso l’altra sera da Napolitano, a due anni di distanza). Il governo Letta in questo è incerto: “Convoco le parti sociali, ascolto, mi impegno, annuncio”, ma alla fine si vede poco. Quello che mi spaventa non è la messa in discussione del ruolo del sindacato, ma il fatto che nel nostro Paese non ci sia più un partito che si ispira al pensiero laburista. E che proprio il segretario del Pd, per raccogliere consensi a destra, non sappia fare di meglio che attaccare la Cgil… Avere nostalgia di Blair nel 2014 mi sembra molto sconfortante. Ma non mi voglio sottrarre alla domanda: è vero c’è una crisi di rappresentanza anche del sindacato. Non credo si possa ricomporre per legge, come qualcuno si illude di poter fare. Non ci sono scorciatoie, non ci sono mai state: bisogna tornare a rimboccarsi le maniche e trovare un punto nuovo di unificazione del mondo del lavoro, guardando soprattutto ai nuovi lavori, anche se non ci piacciono. Creare nuovo lavoro di qualità: le politiche concrete per i giovani sono più importanti del giovanilismo a parole.

1.SEGUE

Leggi la seconda parte

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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