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“I poeti non cambiano, ma forse cambiamo noi e dobbiamo fare una strada intima per ritrovare la poesia nella quotidianità.”
(Monica Vitti)

Terra ferrarese

Vieni a vedere come i profili dei pioppi
incidono la nebbia del breve orizzonte
nato dagli argini.
Come potrei abbandonare questa mia terra
così legata ai ricordi, così grassa ed amara
questa terra che racchiude i miei morti
e si apre in estati feroci
allo stridio metallico delle rondini
sui maceri immoti, quando il sole
s’accanisce sugli uomini nei campi
mentre le cicale segnano il silenzio.
Questa mia terra che in aspri inverni
deve contendere al fiume, case e figli.
Questa terra così fulgida
in primavera
quando i fiori del suo verde
spezzano i brividi delle ultime fisarmoniche;
così dolente
quando la mucca gravida urla nella notte
e gli uomini fumano muti nelle stalle.

 

Fuga dal cielo

Fissai con una gassa d’amante
la mia fune ad una nuvola
e scesi – perplesso e indeciso -.
Lasciai il cielo
le sue certezze di felicità
la serenità di giorni troppo perfetti,
per tornare nel disordine.
Capitemi,
non ero pronto a certe rinunce:
il volto delle donne, il profumo del cibo,
il fruscio della pagina di un libro,
calore vellutato del vino, alberi, prati,
rumori della risacca.
Tutte cose che lassù non c’erano.
Ecco perché tornai.

 

Che giornata

Cielo senza luci
e di morti colori;
rumori senza suono
vetrine che non sorridono
malinconie, grigiori.
Solo l’anima
abbozza una difesa:
una canzone di Marley
cantata in sordina:
…..immaginare i colori
il rosso, il verde, il rosa.
In una giornata cosi
è inutile anche suicidarsi:
non avrebbe lo sparo
l’eco trionfale del tuono
ma si spegnerebbe il rimbombo
come lo scatto stremato
di una molla di piombo.

 

Foibe

Fu in quei giorni senz’anima
laggiù, sul fondo
con il terrore
che dilagava come bora,
in quelle notti di luna
nata per altri sogni…
– quella luna  nemica
che additava all’assassino
la vittima senza difesa –
fu in quei giorni senz’anima,
con quei corpi
scaraventati come cose
nel fondo della tenebra,
che la pietà chiuse gli occhi
per non vedere
il cuore  malato dell’uomo.

 

Periplo di millennio

L’illusione dell’immortalità
della tua razza t’accompagnò
uomo, per un arco di storia
che  andava da Cromagnon ad Auschwitz.
Poi un giorno d’agosto
il privilegio della morte individuale
ti fu tolto: s’accesero diecimila soli
nel cielo di Hiroshima
e un vento di tenebra
raggelò l’ultima canzone
sulla bocca di mela dei bambini di Nagasaki.
Imparasti, quei giorni, che tutta una specie
poteva dissolversi come rugiada
sotto l’urto del lanciafiamme.
Questa ossessione della mano
che tutto azzera, che tutto cancella
sempre t’accompagnerà
perché sei sempre tu,
uomo del sasso e della fionda:
secoli di scienza e filosofia
non hanno placato
la tua sete di violenza,
figlia d’una ferocia senza rimorsi
e senza memoria, in questo
periplo di millennio che ha spento
tante illusioni.

Gianni Goberti  ferrarese di nascita, dopo gli studi all’Istituto d’Arte Dosso Dossi è entrato giovanissimo al Centro Ricerche della Montecatini dedicato al Premio Nobel Giulio Natta, dove rimase per 40 anni.
Negli anni 70 esce la sua prima pubblicazione di liriche “Stazione di Provincia”, Rebellato Ed.; successivamente ha pubblicato “Logica del caos”, Forum Quinta Generazione, “A due passi da Itaca”,edizioni Alba e “Fuga dal cielo”, Ed. Schifanoia. Nel 2008, esce la sua prima raccolta di racconti “La sera andavamo al Moka – Storie di ferraresi”, Edizioni Sivieri. Ha collaborato scrivendo 15 liriche sulle Stazioni della Via Crucis inserite nel libro “La Via Crucis fra storia, devozione e arte”, scritto dalla moglie Margherita Malfaccini, in uscita in libreria nell’aprile 2022.

La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

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Benini & Guerrini


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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