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La vita è come un paesaggio. Ci vivi in mezzo ma puoi descriverla solo da una certa distanza.
(Charles Lindbergh)

La gente strana

La gente strana
scavalca i cancelli senza aprirli
non si porta via niente
dai sentieri che percorre
dice una parola inaspettata
rompendo l’acqua dello stagno
gente che fa notte
per guardare la luna
ballare un tango
ricordare un amore
gente di percorsi impervi
di difficili scelte
di viaggi al confine del mondo
scalate nei cuori e nelle abitudini
segreti condivisi doni senza ragione
gente che si specchia nell’altro
che tende la mano senza pretese
che si pone domande libera arcobaleni
gente che conosce il mondo
eppure sogna imprevedibili futuri
gente che possiede il canto le storie
che legge in biblioteche senza fine
che parla con gli sconosciuti
gli scomparsi i vinti gli dei
gente strana che quando muore
lascia il suo profumo nel mondo.

I luoghi

Non so in che modo
si lascino i luoghi
di colpo come li lascia
il vento o lentamente
scivolando in un’altra veglia
un brivido sulla soglia dell’oblio
o un graffio permanente nell’anima
ma la mappa di tutti si annida
in angoli sconosciuti
che un giorno faranno male
o in fonti che mi disseteranno,
saranno deserti di dune blu
mari profetici e città di specchio
rive ponti strade di continenti
affacciati sulle traversate
che ho osato
e saranno volti e voci
indistinte metafore
del mio ostinato cercare.

Giochiamo con l’assenza

Giochiamo con l’assenza
i volti che non ci sono più
le voci ormai solo musica
d’alberi e conchiglie
le passeggiate sul lungotevere
all’ora delle ombre lunghe
sotto le arcate dei ponti
i teatri coi vecchi palcoscenici
dove cercare il senso
il nostro letto disfatto la mattina
che ancora gemeva di abbracci
tutti i bambini che mi fecero
maestra e madre forse dimentichi
forse inferociti oggi dalla vita
i libri che ho perso nell’oblio
i versi che non ho scritto
giochiamo con le profezie non avverate
i destini stravolti
le terre che non conosco
le lingue che non parlo
accantoniamo le presenze
che ci hanno illuso d’essere
giochiamo con l’assenza
questo stupore della mancanza e dell’ignoto
su cui si accende a tratti
la nostra fiaccola segreta.

I versi per te

I versi per te li impasto
con la farina del corpo
con l’acqua del sorriso,
vi metto l’olio dei miei umori
la dolcezza delle labbra
e il sale di ciò che conosco,
per questo guizzano nell’oceano
giocando con le sirene provocano
il serpente nell’Eden e tessono
reti di luna spirali di conchiglie
per catturarvi quel bacio mai dato
quel sospiro di sesso inquieto
che ancora non abitiamo.
E anche le mie parole come le tue
non vestono solo inchiostro
metafore e a volte rime segrete,
sofferte nell’eco
di una detestabile lontananza
sono un frullare d’ali che danza
trasparenze un vento d’isole e vele
una donna bruna sul respiro del mare
per ricamarti di lusinghe il cuore.

Una palla di terra e acqua

Ho retto secoli di devastazioni terremoti
guerre prigionie la violenza efferata
dei crudeli degli stolti dei deboli
galoppo di cavalli imbizzarriti
carri armati ciechi aerei uccelli di morte
ho retto la rottura degli specchi
delle promesse dei patti
i piatti spezzati della bilancia
la giustizia rinchiusa in un bordello
la dignità mandata in fondo a un pozzo
la bellezza esiliata nelle terre del sogno
la storia triturata in un delirio di notizie fasulle
ho sopportato una scuola vascello fantasma
per bambini senza padri
per padri senza responsabilità
tante grida tanti perché
cui non si vuole rispondere
ho sofferto famiglie senza bussola
alla deriva in un gioco senza limiti
ho sostituito la maschera al volto
imbottito il corpo di veleni
lo spirito di ottuse obiezioni
ho perso per strada gli scopi le intenzioni
l’empatia soffocando tra spire la ragione
ho perso gli uomini inabili spettatori del disastro.
Sono solo una  palla di terra acqua
e fuoco segreto nelle viscere
che gira senza senso nel cielo.

 

Grazia Fresu
Nata a La Maddalena, Sardegna, dottore in Lettere e Filosofia all’ Università “La Sapienza” di Roma, specializzata in Storia del teatro e dello spettacolo. A Roma ha lavorato per molti anni come docente e ha sviluppato la sua attività di drammaturga, regista e attrice e dal 1998, inviata dal Ministero degli Affari esteri, si è trasferita in Argentina, prima a Buenos Aires e attualmente a Mendoza, dove insegna lingua, cultura e letteratura italiana nel Profesorado de lengua y cultura italiana, Facoltà di Lettere e Filosofia, della Università Nazionale di Cuyo.  È poetessa, con quattro raccolte poetiche edite: “Canto di Sheherazade”, Ed. Il giornale dei poeti, ROMA 1996, presentato alla Fiera del libro di Torino del 1997; “Dal mio cuore al mio tempo” che ha vinto in Italia nel 2009 il primo premio nazionale “L’Autore”, pubblicato nel 2010 dalla casa editrice Maremmi- Firenze Libri; “Come ti canto, vita?”, Ed. Bastogi, Roma 2013; “L’amore addosso”, Ed. Bastogi, Roma 2016. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo “Canto degli speroni rossi”, Ed. Edigrafema. Ha realizzato molti eventi di narrazione e messo in scena i suoi testi teatrali con la sua e altrui regia. Collabora con la rivista online “L’Ideale” curando la rubrica di cultura e società “Sguardi d’altrove”, con il magazine “Cinque colonne” nella Terza Pagina con articoli di letteratura, arte, società e con “La Macchina sognante”.
La rubrica di poesia Parole a capo curata da Gian Paolo Benini e Pier Luigi Guerrini esce regolarmente ogni giovedì mattina su Ferraraitalia. Per leggere i numeri precedenti clicca [Qui]

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Benini & Guerrini


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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