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C’è da chiedersi come mai ‘Avventure nel mondo’ anziché organizzare viaggi in Africa a dorso di cammello, non accompagni i viaggiatori amanti del rischio in un ufficio postale. Anche a Ferrara.
Si potrebbe scoprire che in una mattinata estiva possa occorrere un tempo imprecisato per ritirare una raccomandata e pagare un bollettino.

Sulla porta d’ingresso, proprio come nella Divina Commedia, starebbe bene la frase: “Lasciate ogne speranza, voi ch’entrate”. Citazione quanto mai opportuna del terzo canto dell’Inferno, poiché la temperatura dell’angusto locale si avvicina tremendamente al luogo per antonomasia dei dannati, a causa del cattivo funzionamento di un esausto impianto di condizionamento.
Non essendoci un distributore automatico di numeri, occorre vincere ogni ritrosia e chiedere chi sia l’ultimo entrato per sapere il proprio turno. Una domanda che già crea un certo scompiglio perché presa dallo sguardo tipico della terza età come una spavalderia sospetta.
In ogni caso, dopo non semplici trattative, la fila inizia a formarsi rispetto al caos iniziale del numeroso pubblico in attesa. In presumibile presenza di frequentatori abituali di centri sociali, è utile richiamare il modello dell’immancabile trenino durante le serate musicali, per vedere un certo senso di ordine prendere forma davanti ai due sportelli funzionanti.
Subito, però, arriva l’annuncio che non si vorrebbe mai pronunciato: “La collega sta facendo un’operazione particolarmente complessa e per un certo tempo il mio sarà l’unico sportello operativo”.
Un signore col bastone e con una speranza di vita a occhio e croce non proiettata oltre la cena, inizia a dare chiari segni di cedimento. Tranquillizzato sul fatto che poteva andare peggio (potrebbe scoppiare la terza guerra mondiale), la vita riacquista una certa normalità.
Intanto, l’unico sportello funzionante riuscirà a servire una ventina di persone senza che l’altro riesca a portare a termine l’operazione particolarmente complessa. E qui sarebbe curioso conoscere i connotati del genio informatico che ha fornito il software che – siamo certi – sarà stato definito “risolutivo” o “elimina code”, durante un euforico consiglio d’amministrazione di Poste italiane.
Qualcuno azzarda che sia un problema di collegamento con la rete. In effetti, in questi casi in cui l’attesa si fa del tutto simile a quella per la resurrezione dei morti, c’è spazio per un filosofico cazzeggio.
Visto però l’inutile trascorrere del tempo, la conclusione, quasi inevitabile, è come sia francamente incomprensibile che in questo paese continui a esserci gente che spreca talento, studio e ricerca per immaginare e realizzare bande larghe puntualmente smentite in un qualsiasi ufficio postale.

La mattinata è oltremodo animata, quando sulla porta d’ingresso compare una signora che spalanca occhi di vero terrore con il proprio pacco sotto braccio da spedire, di fronte alla fila immobile di dannati.
A volte serve se si sposta il discorso sul piano internazionale. “Non se la prenda, questo paese cerca inutilmente di puntare il proprio sguardo verso Bruxelles, quando in realtà fa di tutto per indicare Nairobi come approdo naturale”.
E così la signora si dilegua nel nulla, sempre col suo pacco sotto braccio.
Entra poi nel forno postale un’altra signora e subito gli sguardi le piovono addosso come grandine per vedere quale posto occuperà della fila.
“Tranquilli – è la replica – sono solo venuta per parlare con un’amica”.
Neanche il tempo di un sospiro di sollievo, che un vociare scomposto giunge dal fondo della sauna postale.
La compagna di filò, in uno stato di sospetta esaltazione stile “Lui ha visto la luce!”, reclama il proprio posto in fila.
La teoria sarebbe certamente materia di studio per psicanalisti: a un certo punto tutti ci saremmo all’improvviso voltati nel verso opposto, come per un ordine giunto dall’aldilà, e la signora, distratta dall’amica che certamente stava parlandole male di qualcuno, si è ritrovata in coda.
Il crescendo rossiniano raggiunge il culmine quando compare sull’uscio un ignaro turista olandese, giunto in quella galera di naufraghi postali per spedire una semplice cartolina di saluti. Magari sopra c’era pure scritto: “Qui in Italia tutto meraviglioso”.
“Se non c’è il francobollo, non posso ritirarla”, è la ruvida frontiera eretta allo sportello. Scatta un sussulto di solidarietà tricolore in soccorso del fiammingo che, in omaggio alla nordica precisione, in realtà aveva già provveduto all’affrancatura. Salutando lo stralunato tulipano, la ciurma postale si è, infine, inutilmente congedata in italiano: “Non parli male di noi!”

Personalmente sono sopravvissuto all’altoforno e quando ho salutato la pur eroica operatrice lasciata sola su quella trincea, come spesso lo sono solo i sindaci, all’altro sportello era ancora in corso l’operazione particolarmente complessa annunciata – così è sembrato a molti – ai tempi dell’ultima glaciazione. Sono uscito che l’altrettanto gentile operatrice di quel secondo sportello metafisico stava chiedendo la firma digitale oltre al marito anche alla moglie, uscita dalla camera iperbarica con un bimbo in braccio nel frattempo diventato maggiorenne.
Oltre al genio informatico non guasterebbe conoscere le generalità anche del responsabile della custormer satisfaction di Poste italiane e del suo fiero piglio mentre, col suo power point, cattura l’attenzione di un ipnotizzato Cda di Poste italiane.
Correndo con la fantasia, si può immaginare l’entusiasmo degli archeologi fra qualche centinaio di anni, per il ritrovamento di resti ossei di una famiglia, morta per consumazione nella vana intenzione di concludere un’operazione postale probabilmente molto complessa, o forse perché l’ufficio – per cause ignote – potrebbe aver preso fuoco. In questo caso, le responsabilità – concorderebbero gli studiosi – sarebbero da attribuire agli effetti del cambiamento climatico.

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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