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da: ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

“Mi chiamano l’Imperatore, ma non ho mai chiesto a nessuno di uccidersi per un mio film!
Mi considero piuttosto uno schiavo, lo schiavo del cinema. Certo nel mio mestiere sono esigente, ma quale buono artigiano non lo è? “.

“Vita e Opere di Kurosawa Akira. Il grande regista giapponese raccontato attraverso i suoi film”. E’ questo il tema del sesto appuntamento di Anatomie della Mente, il fortunato ciclo di Conferenze di Varia Psicologia, organizzate da Stefano Caracciolo, Professore di Psicologia Clinica dell’Università di Ferrara, che si terrà domani, giovedì 11 giugno, alle ore 16.30, nella storica sede della Biblioteca Ariostea (via Scienze, 17).
“Kurosawa Akira (1910-1998) nasce a Ota, in Giappone – come ci spiega il Prof. Caracciolo – in un momento storico di grande transizione, dal crollo del glorioso Giappone imperiale ad una fase di tragica apertura all’Occidente, culminata nella sconfitta della Seconda Guerra Mondiale e l’occupazione americana, in cui il codice dei samurai, il bushido, divenne l’emblema di un passato definitivamente superato.
Figlio di militare molto legato alle tradizioni, K. si interessa di pittura, letteratura (specialmente russa) e, più tardi, di cinema, grazie al fratello che lavora come benshi (pianista nelle proiezioni mute). Dopo un grave shock, in seguito al suicidio inatteso dell’amato fratello maggiore Heigo, a 28 anni inizia un apprendistato in una casa di produzione e dal 1943 inizia a girare lungometraggi nello stile jidaijeki (film del periodo), con temi feudali e con protagonisti guerrieri (samurai) o malviventi (yakuza). Dopo la guerra le storie dei samurai divengono un veicolo fortissimo per la sua notorietà in Occidente, a partire dall’acclamato ‘Rashomon’ (1950), premiato con il Leone d’Oro a Venezia nel 1951.
Le sue opere successive, comprendono in totale 32 lungometraggi, in cui si affrontano temi legati al Giappone feudale (dal celebre ‘i Sette Samurai’ del 1954 fino a ‘Kagemusha’ del 1980 e il pittorico ’Ran’ del 1985), ma anche temi sociali (da ‘Scandalo’ del 1950 a ‘I Bassifondi’ del 1958, fino a ‘Madadayo – Il Compleanno’, suo ultimo film del 1983) e moltissimi e rilevanti temi di pertinenza psicologica e psichiatrica. Basta ricordare ‘L’Angelo Ubriaco’ del 1948, ‘Barbarossa’ del 1965 e ‘Sogni’ del 1990. In mezzo, una profonda crisi creativa, dopo il fiasco commerciale del suo primo film a colori (‘Dodes’kaden’), con un tentato suicidio da cui si riprese molto lentamente.
Il suo ritorno al cinema fu fortemente sostenuto da grandi registi come George Lucas e Francis Ford Coppola e dalla casa di produzione 20th Century Fox.
La morte lo colse mentre preparava un nuovo film nel settembre 1998.

(in foto: Stefano Caracciolo)

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UNIVERSITA’ DI FERRARA


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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