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La questione della pace è primaria nella politica perché include tutte le altre: giustizia, economia, povertà, uguaglianza, ambiente e clima, energia, lavoro, sanità, relazioni internazionali, scuola e istruzione, informazione, libertà…

Per assicurare la pace, una pace giusta e stabile, è necessario ripudiare la guerra. Questo rifiuto in Italia è un impegno costituzionale (art. 11), ma è anche, in tutto il mondo di oggi, esigenza primaria della razionalità politica, di una politica secondo ragione, non folle e criminale.

Oggi, ma già da Hiroshima 1945, la guerra non è più giustificabile, è impossibile che abbia fini giusti perché accende pericoli estremi, totali. La guerra è fuori e contro la ragione politica, contro la difesa dell’umanità.

Ma non basta. È necessario emanciparsi moralmente dall’atteggiamento armato, e smontare politicamente l’enorme apparato bellico, che è spreco di risorse, produttore di cultura di guerra, di corruzione civile, di speculazione sul consumo di armi, ed è causa di focolai di guerra.

Per assicurare una pace giusta e stabile è necessario negare collaborazione politica, economica, culturale, emotiva, psicologica, alle politiche di guerra, di qualunque stato o potenza.

Ma non basta. È necessario, in positivo, costruire una propositiva cultura etico-politica di pace, una cultura che riconosce i conflitti reali di ogni genere, e li affronta con strategie non distruttive.

Conflitto non è sinonimo di guerra. Conflitto è ogni differenza e tensione esistenziale, tra singoli come tra gruppi umani, che può valere come dinamica storica arricchente, se gestito con mentalità e strategie non distruttive ma compositive, radicalmente alternative alla guerra.

La guerra è l’incapacità di vivere un conflitto come parte della vita, sebbene difficile: la guerra vuole risolverlo col distruggere una o più delle sue componenti umane.

Non è vero che la guerra è nella natura umana: è una grave malattia autoprocurata, ma curabile, guaribile, perché è contraria alla radicale aspirazione umana alla vita, allo sviluppo umano, in tutte le dimensioni materiali e spirituali.

Per assicurare una pace giusta e stabile occorre, nelle persone come nelle istituzioni, quella disposizione civile fondamentale che ripudia l’uccisione di persone umane come antiumano mezzo di azione, sempre illegale e degradante, impolitico.

Ogni vita va mantenuta e difesa, anche se sbaglia e se va corretta, perché ha sempre una possibilità di indefinita umanizzazione, per sé e per gli altri. La guerra, omicida per natura, è la negazione della politica umana. La politica umana è l’antitesi della guerra.

La politica, infatti, è essenzialmente la capacità di vivere insieme, nella pluralità, in cui l’individuo riceve dagli altri e contribuisce agli altri nel reciproco adattamento, che in parte limita, ma in gran parte costruisce ogni persona.

L’idea di politica include la pluralitàpolis vuol dire città, vita insieme di molti, perché significa anche molteplicità: p, es. poliglotta, poligrafo, ecc. Molti diversi modi di essere umani compongono la ricchezza dell’umanità.

Non siamo soli, ma insieme, ed è impossibile vivere senza gli altri. Le differenze, anche problematiche, vanno assunte ed elaborate come fattore costruttivo di umanità: distruggere le differenze riduce tutti noi.

Ci sono situazioni e azioni che aggrediscono con violenza i diritti e le vite di persone, di popoli. Le vite e i diritti devono essere difesi. Ci sono mezzi e azioni di difesa che non imitano e non riproducono, nei mezzi armati, l’offesa patita. La difesa con le armi omicide duplica la violenza patita, e così non afferma davvero i valori vitali che vuole difendere.

Ma ci sono esperienze, tecniche, tradizioni, realtà storiche di resistenza popolare attiva nonviolenta. La disobbedienza coraggiosa frustra il potere ingiusto, che ha bisogno di obbedienza e sottomissione.

La resistenza e difesa nonviolenta ha una forza maggiore: può anche costare vite e sofferenze, che sono meno amare della guerra, e affermano la maggiore qualità umana dei diritti difesi.

Per fare qui un solo esempio meno noto, tra molti nella storia (posso fornire una bibliografia storica delle molte lotte giuste di difesa nonviolenta) ricordo le donne di Carrara che, nel luglio 1944, disobbedirono in massa, davanti alle armi naziste in Piazza delle Erbe, all’ordine di sgombero della città, e rimasero coraggiosamente nella loro città davvero civile.

Per la pace è necessario uscire dalle culture politiche militari e dalle alleanze militari di difesa offensiva.

Ma non basta. È necessario, in positivo, diffondere nella cultura etico-politica dei cittadini e cittadine l’obiezione di coscienza personale (papa Francesco l’ha proposta ai giovani nell’incontro internazionale di Praga ,[Qui] 13 luglio 2022), che rifiuta ogni collaborazione alla guerra, nell’esercito, nell’industria, nel lavoro personale, nella informazione e cultura.

È necessario, in positivo, istituire corpi civili di pace, istituzioni pubbliche di volontari e volontarie, come già esistono nel volontariato civile non governativo, preparati alla intermediazione nei conflitti, alla solidarietà e soccorso delle popolazioni, a sostenere la difesa popolare nonviolenta, alla interposizione tra gruppi in guerra, alla internazionalizzazione di ogni conflitto nel quadro legale obbligatorio delle Nazioni Unite, che, in nome della nostra unica Umanità, vuole definitivamente «salvare le future generazioni dal flagello della guerra» (Statuto delle Nazioni Unite, Premessa) con la sua proibizione e punizione legale.

L’abolizione legale e politica della guerra è il passo di civiltà e umanizzazione richiesto alla coscienza di queste nostre generazioni e all’azione politica odierna.

L’umanità nella sua storia ha saputo abolire altre istituzioni disumane, per umanizzarsi, come i sacrifici umani alla divinità, la schiavitù legalizzata, la sottomissione consueta della donna all’uomo, il potere paterno di vita e di morte sui figli, i diritti dei padroni sui servi, la pena di morte in molti paesi, ecc..

A noi è chiesta fiducia e volontà per questo passo in avanti nella umanizzazione, che le diverse culture e spiritualità dicono in modi diversi ma uguali nella sostanza. L’abolizione della guerra è oggi la definitiva misura della nostra umanità.

Cover: Torino, Enrico Peyretti  interviene ad una manifestazione contro la guerra (Foto di Giorgio Mancuso)

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Enrico Peyretti

E’ nato a Torino nel 1935, sposato, ha due figlie e quattro nipotini, Ha insegnato Storia e Filosofia nei licei. Pubblicista non iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Dall’origine nel 1971 fino al 2001 ha diretto “il foglio”, mensile di alcuni cristiani torinesi, che continua ad uscire regolarmente. È membro del Comitato Scientifico del Centro Interatenei di Studi per la Pace delle Università piemontesi. Membro del Movimento Internazionale della Riconciliazione, del Movimento Nonviolento, dell’Ipri (Italian Peace Research Institute), socio attivo del Centro Studi per la pace e la nonviolenza “Sereno Regis” di Torino. Da molti anni collabora al quindicinale Rocca, fa parte della redazione di Servitium. Ha collaborato a varie riviste culturali: Bozze; Sisifo; Quaderni Satyagraha; Il Tetto; Segno; Giano; Annuario di filosofia 2006; L’ospite ingrato; éupolis; Confronti; Lo Straniero; Incontri; Parole chiave; Politica e Società; Spazio filosofico. Ha presentato contributi a vari convegni nazionali di ricerca sulla pace, sulla Difesa Popolare Nonviolenta, ha tenuto lezioni in varie Scuole di Pace, in seminari universitari (Bologna, Macerata, Torino, Padova, Roma, Udine), in corsi di aggiornamento per insegnanti ed ha collaborato con vari enti nella formazione degli obiettori di coscienza. Cura dal 1994 la bibliografia online Difesa senza guerra sulle lotte nonarmate e nonviolente nella storia. Ha pubblicato una decina di volumi per le edizioni Cittadella, Servitium, Pazzini, Claudiana., tra cui “La via della pace””, Cittadella, Assisi, 2012.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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