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Capita così, fa freddo, è domenica. Partiamo con mio marito e la piccola per andare a chiudere l’acqua nella casa di campagna sulle alture di Genova. Se l’acqua gela nei tubi poi sono problemi. Pochi giorni fa ha nevicato. L’aria frizza e fa risplendere i colori autunnali. Schizzi di neve riverberano sul prato verde.

Con Camilla corriamo in cima al panettone. Da lì si aprono squarci di paesaggi, sempre nuovi, l’oltre. I boschi spogli mostrano confini inediti, paesaggi inconsueti rispetto a quelli estivi. Cappelletta, una piccola frazione di Masone, poche case, una quindicina, raccolte intorno alla chiesetta e a due trattorie, unico baluardo rimasto a difesa di questo pezzo di terra disperso sull’appennino.

La trattoria Adriana, ha una tradizione familiare. La madre di Adriana l’aveva aperta nei primi anni del 900, e Adriana e le sue sorelle sono cresciute li, tra la cucina della trattoria e le bestie al pascolo. Poi alla morte della mamma la trattoria è stata chiusa per 6 anni fino a quando Adriana l’ha rilevata e da 50 anni, tutte le mattine, si alza alle 5,30 del mattino, impasta i suoi ravioli unici e su pentoloni grandi cuoce il suo inconfondibile ragù. La pandemia l’ha fermata, però, e questa volta forse per sempre. Eppure lei e la sua famiglia restano li, sulle alture che hanno accompagnato le giornate delle sua lunga vita, a presidiare i ricordi, a insegnare ai nipoti che l’intelligenza sta anche nella mani, anzi soprattutto nelle mani.

Vincenzino, suo marito, percorre la Cappelletta con la sua bicicletta arrugginita; ha 80 anni ma pedala come se ne avesse 15. Laila, il pastore maremmano, viene liberato ogni sera alle 19 a protezione delle nostre case e delle sue galline. Per noi borghesi genovesi, con il naso all’insù, incapaci di comprendere a fondo la vita dura ma piena degli uomini della terra, sono la salvezza, sono l’ancora che ci tiene legati a quel sapere fatto di Natura e di tradizioni antiche. Sono così grata a loro. Posso andare a bussare alla loro porta e affidargli le chiavi di casa e so che loro faranno da guardiani affettuosi senza chiedere nulla, perché per loro è “naturale”.

Abbiamo finito la lunga procedura di chiusura dell’acqua, il sole fuori ancora un po’ scalda, ma la nostra casa è una ghiacciaia. Dobbiamo partire. Ci avviamo da Adriana per consegnarle le chiavi. Bussiamo. Adriana ci apre con un sorriso, ci invita ad entrare. Dentro una piccola stufa porta un piacevole calore nella stanza. Ai lati della stufa, lei e sua sorella parlano dei tempi passati. Adriana ci offre un caffè, un caffè della moka, dice, perché la macchina del bancone per gli espresso è oramai ferma da tempo. È bello stare al caldo a sentire i racconti. Accettiamo. Camilla, la mia piccola, mangia le paste e ascolta con occhi sgranati.

La sorella di Adriana ci racconta del fratellino morto per una broncopolmonite non diagnosticata in tempo: “Mia madre l’ha venduto il fratellino e noi abbiamo chiesto, alla mamma, di comprarne un altro.” Come venduto e comprato? chiedo io stupefatta. La sorella sorride e dice che era un modo di dire di allora. Le cose inspiegabili si spiegavano con parole non troppo affilate, poi saltando la parte del venduto – legata alla morte e che a corredo non ha alcuna immagine, ha aggiunto: ”Come si poteva spiegare l’arrivo di un fratellino con la cicogna se non comprandolo?”.

Non c’è nulla di male in quello che dice e lo dice con la carezza delle parole. D’altronde chi di noi non ha visto in libri illustrati una cicogna che vola con il fagottino? Eppure non ci avevo mai pensato, e mi è apparso lampante in quell’istante, il perché la maggioranza delle persone non si indigna di fronte alla compravendita dei bambini attraverso la maternità surrogata e ho capito come sia stato possibile accettare che questa pratica divenisse identificata con un atto di amore.
Noi siamo le parole che pronunciamo ma soprattutto il modo in cui le pronunciamo, il modo in cui le porgiamo agli altri. Le sorelle lo raccontavano con la carezza della parole, che per me vuole dire con la tenerezza della incarnazione, ma se l’ originaria bonaria bugia che accompagna la favola della cicogna e di cui i bambini erano consapevoli si perde, cosa può succedere?

Tornata a casa sono passata a trovare la mia di mamma. Nella nostra famiglia borghese e acculturata si usava dire “comprami un fratellino o una sorellina?” le ho chiesto, perché io non lo ricordo. Lei mi ha sorriso e ha detto: ”quando voi eravate piccole non si diceva più, ma prima si, era di uso comune per “giustificare” l’arrivo di un bambino e, senza accorgersene, ha aggiunto la cicogna era Amazon di oggi.
Mi sono indignata, e mi sono messa a urlare, ma come poteva assimilare l’immagine della cicogna con quel fagotto appeso precariamente al becco lungo, a un fattorino di Amazon? Mia madre c’è rimasta male; stavamo cucinando il paté di fegato, come da nostra tradizione, ma non capiva perché il paragone mi avesse così tanto irritata. Ecco fatto! Quello che avevo pensato era dimostrato, il passaggio dalla favola alla realtà come cosa “naturale” era avvenuto senza che nessuno se ne fosse accorto.

Amazon altro bel nome, associazione Amazzonia, terra di foreste invalicabili, inestricabili eppure Amazon ti arriva nelle case con la rapidità di un super eroe o super eroina e realizza in tempi velocissimi il tuo desiderio. Non sto giudicando né mia mamma né la sorella di Adriana, sto solo ragionando sull’uso delle parole. Di come diventino armi potenti di manipolazione se spogliate della carezza del mistero.
Un bambino di allora vedeva la pancia della mamma che si ingrossava, sapeva bene che non era la cicogna che lo portava, ma la cicogna conteneva in sé il mistero della nascita e della vita con la forza dell’immagine che tutti abbiamo visto da piccoli sui libri illustrati. E il bambino non faceva più domande, perché i bambini sono intelligenti e sanno che certi misteri sono sacri.

Oggi i bambini non vedranno più le pance che si ingrossano, i fratellini arriveranno come pacchi dono attraverso un fattorino Amazon – da foreste spaventose e inestricabili – in tempi record, e tac, il gioco è fatto. Anche gli umani sono in vendita! Tutti, nessuno escluso! E la pandemia ha reso tutto questo accettabile anzi conveniente. Le onorate istituzioni, i comitati scientifici, oggi cabina di regia, ci hanno detto che i vaccinati “immuni”, potranno fare un Natale sereno fra di loro, per tutti gli altri, quelli rimasti bambini, invece si prospetta un Natale di solitudine e di paura.

Le nostre carni incarnate, staccate per sempre dal sapere ancestrale dei corpi ma legate a un tampone o a una inoculazione frutto di brevetti privati (esattamente come per il bambino su prenotazione) sono il mantra ripetuto dai più per salvare il Natale e che separa in due l’umanità. Il nostro essere bambini dentro deriso e umiliato, proprio a Natale quando si celebra il Dio Bambino! Ma la natura, la madre natura, è più forte e in questo Natale, il virus si è messo a correre sempre più veloce su corpi inoculati e non, e ha diviso famiglie, creato panico, isolato in stanze chiuse gli infetti e ha reso evidente la nostra ipocrisia.

La scommessa per questo 2022 è vedere se sapremo tornare alla bonaria bugia della cicogna, a quel becco lungo con in fondo il nodo precario di un fazzoletto dal quale spunta il ciuffetto di un tenero bambino e due piedini portati in volo, in cieli aperti e sconfinati, da ali grandi e zampe lunghissime che si muovono instancabili nel vuoto pieno dell’aria.

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Roberta Trucco

Classe 1966, genovese doc (nel senso di cittadina innamorata della sua città), femminista atipica, felicemente sposata e madre di quattro figli. Laureata in lettere e filosofia con una tesi in teatro e spettacolo. Da sempre ritengo che il lavoro di cura non si limiti all’ambito domestico, ma debba investire il discorso politico sulla città. Per questo sono impegnata in un percorso di ricerca personale e d’impegno civico, in particolare sui contributi delle donne e sui diritti di cittadinanza dei bambini. Amo l’arte, il cinema, il teatro e ogni tipo di lettura. Da alcuni anni dipingo con passione, totalmente autodidatta. Credente, definita dentro la comunità una simpatica eretica, e convinta “che niente succede per caso.” Nel 2015 Ho scritto la prefazione del libro “la teologia femminista nella storia “ di Teresa Forcades.. Ho scritto la prefazione del libro “L’uomo creatore” di Angela Volpini” (2016). Ho e curato e scritto la prefazione al libro “Siamo Tutti diversi “ di Teresa Forcades. (2016). Ho scritto la prefazione del libro “Nel Ventre di un’altra” di Laura Corradi, (2017). Nel 2019 è uscito per Marlin Editore il mio primo romanzo “ Il mio nome è Maria Maddalena”. un romanzo che tratta lo spinoso tema della maternità surrogata e dell’ambiente.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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