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Il tempo che scorre, una vita, tante vite vissute e non. Il tempo passato, la memoria, visioni in bianco e nero, sogni. Ciò che è stato, esistito in carne e ossa, poi estinto per sempre ma vivo nei nostri vaghi ricordi. Sono pensieri che si sommano su vecchie immagini in movimento di oltre cent’anni fa.

Un giorno, uno sconosciuto operatore monta nella cabina di un tram una cinepresa nuova di zecca, un prodigio tecnologico dell’epoca.
Siamo a San Francisco, è il 14 aprile del 1906, il tram parte e la cinepresa comincia a filmare. La strada da percorrere è lunga, spaziosa e dritta. Si tratta di Market Street, strada che da quel giorno in poi diventerà la via più famosa di San Francisco. Si vedono le prime automobili passare a destra e a sinistra, sono ancora una sorta di carrozzoni a motore, poi altri tram che incrociano quello che sta filmando, poi ancora carrozze vere e proprie con tanto di cavalli, carri di ogni tipo trainati da buoi e altri cavalli. In mezzo biciclette e tantissima gente che cammina, attraversa la strada, si ferma a guardare, e tanti ragazzini che corrono e schiamazzano facendo smorfie alla cinepresa. Non esiste segnaletica, i semafori li devono ancora inventare. Ci troviamo nel pieno centro cittadino ma ognuno fa un po’ quello che gli pare.
Siamo appena sbarcati nel ventesimo secolo, con tutto l’ingenuo entusiasmo della gente che si trova a vivere nell’era della modernità, un nuovo mondo fatto di invenzioni strabilianti, pieno di promesse e speranze. Eppure si respira ancora il clima del secolo precedente, in fondo l’idea di modernità nasce proprio nell’Ottocento, come tutte le persone che si vedono nel filmato.
Ora, calcoli alla mano, nessuna di quelle persone esiste più.

Il 18 aprile del 1906, quattro giorni dopo, San Francisco viene colpita da uno dei terremoti più devastanti degli ultimi cento anni. L’epicentro viene individuato proprio nella penisola metropolitana della città e provoca diverse scosse che culminano con quella più distruttiva di magnitudo 8.3 della scala Richter.
Il cataclisma provoca migliaia di morti, la maggior parte dei quali non per i crolli degli edifici ma per gli incendi che divampano immediatamente dopo. All’epoca le case sono fatte quasi tutte di legno e interi quartieri della città vengono letteralmente spazzati via dal fuoco che divamperà per giorni prima di essere finalmente domato. Quasi mezzo milione di abitanti rimane senza casa, e molti di questi saranno costretti a rifugiarsi nella vicina Oakland, dall’altra parte della baia.

Market Street, il 18 aprile 1906

Guardo le immagini salvate nel mio computer. Sono assorto nei miei pensieri in cui mi vedo laggiù, in mezzo a quelle persone, in quella strada brulicante di vita. Ma sono sempre io, come un viaggiatore del tempo che osserva senza esser visto, invulnerabile a tutto quello che accade attorno, anche all’imminente tragedia che si consumerà di lì a poco.
Quali delle persone riprese nel filmato perderanno la vita quattro giorni dopo? Di certo non posso saperlo. E forse, dopo più di cent’anni, poco importa saperlo.

Era il 1906, in una strada di San Francisco chiamata Market Street. Era un giorno come tanti, eppure speciale perché immortalato per essere osservato in un remoto futuro da chi ancora non esisteva, come il sottoscritto. A volte, il tempo e il caso combinati insieme fanno strani scherzi. Riguardo ancora una volta, per l’ultima volta, questo mondo pullulante di vita. La vita frenetica, ingenuamente ottimista e spensierata dei defunti.

La Femme d’Argent (Air, 1998)

Filmato originale integrale coi suoni di sottofondo

La Femme d’Argent (Air, 1998) nella versione della registrazione video del 2008

La Femme d’Argent (Air, 1998) in un live su Canal+ del 2016

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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