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Qualche motivo per sostenere in modo convinto e animato da grande simpatia la squadra guidata da Oscar Washington Tabarez “El Maestro”, di calcio e di vita, e il Paese che essa rappresenta sul campo dei Mondiali in corso di svolgimento in Russia. In ordine sparso… per dirla con Gep Gambardella. Perché all’inizio del mondiale il mio modesto ma convinto endorsement per la “Celeste” veniva trattato con sufficienza se non con qualche nota di dileggio specie da un caro amico romanista “ma hai visto chi c’hanno in porta? Un laziale! “. Pregiudizi? Sta di fatto che, attuale portiere del Galatasaray Fernando Muslera a parte – vedendolo all’opera ieri qualche perplessità in verità l’ha destata anche in me – i giocatori della Republica Oriental del Uruguay hanno vinto il loro girone a punteggio pieno senza prendere goal e battendo con un perentorio 3 a 0 i russi. Così dopo la splendida doppietta del “Matador’ al Portogallo negli ottavi (l’Uruguay gioca un brutto calcio cinico e speculativo diceva qualche pio esteta; può darsi ma il dialogo Cavani-Suarez-Cavani con il quale l’Uruguay è andata in vantaggio, riconcilierebbe con il calcio anche il più arrabbiato apostata di Eupalla; come avrebbe detto Gianni Brera). Mi sono preso la soddisfazione di telefonare ai miei scettici amici chiedendo loro notizie di quella Germania che tanto magnificavano alla vigilia. Ora spero di cuore che il 6 luglio a Nijni Novgorod, la mia nazionale elettiva batta anche la Francia, anche se sconfiggere i bleus cosi ben lanciati sarebbe davvero un’impresa. Con l’occasione: I giocatori della nazionale francese sono i Bleus non i blues! come dicono alcuni dissennati che almeno il francese basico dovrebbero saperlo. Blu in francese è bleu e in inglese blue. Blues sono i giocatori del Chelsea e temo che non sia una nota superflua. Una nota di simpatia invece va alla briosa musica dell’inno nazionale uruguaiano (qui molto bene eseguita dalla Banda Musicale della U.S.Navy)
Si tratta di un’aria tipicamente risorgimentale scritta da un musicista ungherese emigrato in sud America nei primi decenni dell’800. Fatte le più che debite proporzioni, ricorda un po’ l’ouverture della rossiniana “Semiramide” ma anche la “Bella figlia dell’amore”… in versione “Amici Miei”, e perfino la Marcia dell’Ernani… quella che “si risvegli il Leon di Castiglia”. Voglio dire che la musica di Franz Joseph poi Francisco José Debally è in qualche modo ” italiana” se non altro per ispirazione, e mi piacerebbe sentirla suonare qualche altra volta negli stadi russi ? Sempre in ordine sparso…, le motivazioni dico; Giuseppe Garibaldi… eroe dei due mondi cominciò a diventarlo seriamente in Sud America e più precisamente dalle parti di San Antonio, dove combatté la sua prima grande battaglia per la libertà del popolo uruguaiano. San Antonio, è nel distretto di Salto, la citta in cui il Generale riparò al termine della battaglia. E Salto, quando il caso dice la combinazione diceva Totò, è anche la città natale di… Edinson Cavani! Voglio ricordare ai compagni di fede calcistica nazionale che la bandiera uruguaiana ha pure i colori della nostra Spal! E poi c’è la celebre e celebrata ” garra charrua ” Dice Wikipedia che per una volta cito convintamente…”. Il termine charrúa, grazie alle imprese dei guerrieri da cui deriva, ha quindi acquisito nella storia il significato aggiunto di orgoglio, forza, grinta, unità di gruppo, coraggio e il combattere arditamente nonostante una sorte che sembra essere già segnata (ma che con la garra può essere ribaltata).” …E questo, se si vuole tocca in modo significativo le vicende di Mister Tabarez, la sua malattia, ed il suo specialissimo legame con la squadra. E anche, se pure in misura ben più lieve, gli alterni accadimenti di chi scrive. Eccome se può essere importante la “garra”… Aggiungo che il mio maestro di quinta elementare, educatore straordinario capace di fare appassionare gente di dieci anni alla matematica come al latino, era un toscano vissuto vent’anni a Montevideo prima di tornare in Italia. E poi due nomi: il Presidente emerito della Repubblica uruguaiana Pepe Mujica, famoso per il suo inseparabile Maggiolino Volkswagen e gli 800 € al mese che si faceva bastare per vivere, ma anche per la semplicità e la bellezza del suo pensiero. Da ultimo ma non ultimo, il padre dell’indipendenza uruguaiana José Artigas che …come ricordano gli Inti Illimani nella loro celebre canzone Simon Bolivar è la voce amica dal sud (“es la voz de José Artigas que tambien tenia razon…!”) E speriamo che abbia altrettanta ragione chi, nonostante le imprese di Ghiggia e Schiaffino siano lontanissime, dice che la ” Celeste ” può andare ancora avanti.

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Gianfranco Maiozzi


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di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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