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E già domani, il primo giorno di primavera, ma la scorsa notte a Ferrara è arrivata una nebbia spessa, sgarbata, invincibile. L’altra mattina, invece, già all’alba era tutta un’altra città: vuota, vuotissima, ma con i colori del sole e dei suoi mattoni rossi. Le 8 passate da poco, nessuno per strada, Sto andando in ufficio. In giro è un deserto mentre cammino verso la chiesa di San Francesco. Arriva qualcuno, un uomo, un po’ curvo, ancora giovane. Cammina al rallentatore, ogni tanto si volta indietro, si ferma, fa un tiro a un mozzicone di sigaretta, riprende a camminare. Spinge davanti a sé una carrozzina, di quelle che si usano per portare a spasso i neonati. La carrozzina è piena, stracarica di cose, c’è buttata sopra una trapunta che trabocca dalla carrozzina..

Mi fermo. Lo guardo. Mi avvicino. Ora siamo sul piazzale di San Francesco, lo saluto: “Ciao, io mi chiamo Francesco”. Si ferma e si volta verso di me, mi guarda. Siamo a due metri di distanza. La distanza regolamentare. Insisto: “Scusami, tu come ti chiami?”
Alza gli occhi, mi guarda meglio, per due o tre secondi: “Luigi, mi chiamo.”
– Posso chiederti una cosa Luigi?
Non risponde. Fa un passo, poi si ferma, mi guarda di nuovo. Con più attenzione.
– Volevo chiederti se posso farti una foto con il cellulare?
Silenzio
– Non c’è problema Luigi, se non ti va faccio a meno.
Ci sta pensando..
– Sai, mi serviva una foto, per metterla sul mio giornale. Ma è lo stesso.
– Fammi la foto.
– Grazie Luigi. Ecco, alza un po’ gli occhi. Ecco fatto!
Mi fa un sorriso. Piccolo, storto, ma è un sorriso.
– Non mi hai detto dov’è che vai Luigi?
– Per la strada vado.
Rimetto in tasca il telefono, lo saluto e lo guardo attraversare il piazzale, in diagonale, verso via Savonarola. E’ ora di andare in ufficio.

Non sono soddisfatto della foto. Questione di gusti, io non ho mai voluto farli i reportage, tantomeno  i fotoreportage. Certo, magari prima dello scatto si chiede il permesso, ma alla fine è sempre una rapina, un furto dell’intimità altrui. A volte, in caso di tragedia, è molto peggio, senti svolazzare gli avvoltoi. Non li avete visti i cronisti d’assalto all’opera in queste settimane di Coronavirus?
A Telestense non sono né avvoltoi né corvi, ma vanno di fretta. Sul problema dei Senza Fissa Dimora avevano intervistato Raffaele Rinaldi, direttore della Associazione Viale K. (in tutto, 3 minuti e 23 secondi). Poi c’era stata l’intervista, sempre a Raffaele, del Carlino Ferrara. Avevo letto anche quella, ma mi rimanevano molti dubbi, molte domande in sospeso. E, dopo l’incontro dell’altra mattina, una in particolare, piccola ma urgente: “Dove va a dormire Luigi?”. C’è uno spazio, un posto aperto per lui in una città sempre più blindata? C’è una porta a cui bussare? Un letto in cui dormire? Un luogo sicuro e protetto? Una casa dove ‘restare a casa’? Valgono, o per lui non valgono i  decreti, le ordinanze, gli accorati appelli, i severi divieti?

Mando un messaggio al mio amico Raffaele, non lo vedevo e sentivo da mesi: “Possiamo sentirci una mezzora al telefono? Quando hai un buco libero?”. Non sarà un’intervista. Voglio solo sapere. Capire come vive oggi, come vivrà domani e dopodomani Luigi. E gli altri come lui, i barboni, i clochard (se preferite un nome un po’ romantico), i Senza Fissa Dimora. Quelli che la casa non che l’hanno più, che a casa non ci possono stare nemmeno volendo, che percorrono il giorno sulle strade, che dormono dove capita, dove fa un po’ meno freddo, che si portano appresso una coperta, un berretto di lana e tutte le loro poche proprietà. Sembra che i Senza Fissa Dimora, che facevano questa vita prima della pandemia, oggi – ordinanza dopo ordinanza – continuino a fare la stessa identica vita. Ora che il morbo infuria: “Raffaele, dove va a dormire Luigi?”

Parla Raffaele: “Il nostro dormitorio di via Albertina è arrivato al limite massimo, al tutto esaurito, non c’è più posto. Ieri abbiamo accolto gli ultimi due. E dalle segnalazioni che abbiamo, sono almeno una decina a Ferrara quelli che girano per la città senza un posto dove dormire in sicurezza. Ma sono certamente di più, come fai a contarli? Abbiamo fatto un pubblico appello diretto al Sindaco Fabbri, chiedendogli un intervento immediato, concreto, serve una nuova struttura per il ricovero notturno. Stiamo aspettando una risposta”.
14 operatori e una ventina di volontari di Viale K stanno lavorando ‘senza orario’, in emergenza. E molti ‘ospiti’ danno anche loro una mano, per pulire e sanificare i locali, preparare pasti e panini, rispondere alle chiamate.

“Ci vorrebbero altri locali per accogliere chi è ‘rimasto fuori’ – continua Raffaele Rinaldi – lo abbiamo chiesto al Comune, perché rimanendo in giro si espongono al pericolo, anche alle denunce penali, perché girando senza autorizzazione, sono a tutti gli effetti ‘fuorilegge’. E diventano loro stessi un pericolo per gli altri. E’ un lavoro difficile quello degli operatori e dei volontari: alcuni SFD fanno fatica ad accettare di vivere al chiuso, a cambiare le loro abitudini consolidate”.
Lo stanno chiamando per un’altra emergenza, ma nel salutarlo ho anch’io una richiesta per lui: “Non fidarti troppo delle interviste, delle parole riportate, nemmeno di quelle che scriverò io. Trova un po’ di tempo, scrivi tu questa storia, tu sei bravo a scrivere.”.

Dentro una Grande Guerra (e questa non sarà una guerra lampo, ma una lunga battaglia di trincea) sono i più deboli a rimanere ‘senza ombrello’, esposti ai pericoli, lasciati fuori dalla porta, identificati come il male minore e quindi sacrificati, perché i forti possano prevalere ancora di più.  Non c’entra ovviamente il destino, è invece lo spettacolo di una crudele selezione del tutto artificiale. Il meccanismo data millenni, ma nei momenti di crisi emerge e si impone con più evidenza e cattiveria.

Servirà allora ascoltare El portava i scarp del tennis, una delle canzoni più belle, più dure – più anti-borghesi si diceva una volta – di Enzo Jannacci.

 

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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