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Visto che non può vincere il meglio, l’importante è che non vincano i peggiori. Se poi, come probabile, le elezioni non le vincerà nessuno, l’Italia sarà senza governo. Ma non sarà la fine del mondo, anzi, forse è proprio questo il meglio che possiamo aspettarci.

Ma tu per chi voti? Me l’hanno domandato almeno dieci volte in queste ultimi giorni. Compresa mia figlia Amelia, 23 anni, appena tornata da Roma per una breve vacanza tra un esame e l’altro: “Così papà mi spieghi”. Non so bene cosa riuscirò a raccontarle. So però di essere in buona compagnia: mi pare siano in molti ad avere i miei stessi dubbi.
Non solo. Ho l’impressione che siano sempre di più gli italiani che il 4 marzo non daranno “un voto per” ma solo “un voto contro”. Non andranno cioè a votare perché intimamente convinti di un progetto politico, di un programma o di un leader, ma ci andranno per evitare – è quello che almeno mi auguro – che possano prevalere ideologie, valori, interessi e personaggi pericolosi. Non voteranno per far vincere il meglio (anche perché di migliori all’orizzonte o in tivù non se ne vedono proprio), ma per far perdere il peggio: il razzismo, il populismo, l’egoismo identitario. Sarà pure un obiettivo minimo, ma far perdere i peggiori sarebbe già una mezza vittoria.

Ma cosa dobbiamo aspettarci? Chi sarà alla fine il vincitore? A meno di due settimane dall’election day, i sondaggi elettorali (ammesso e non concesso ci abbiano azzeccato) sono ormai vietati. Tutti i partiti, nella vana rincorsa al voto della folla dei delusi e degli indecisi, continuano a promettere grandi vittorie o formidabili rimonte. Difficile crederci: il quadro generale sembra ormai stabilizzato e dalle urne uscirà probabilmente più di un perdente, ma nessun vincitore.
Questa volta, così sembra, le elezioni invece di fare chiarezza, potrebbero complicare le cose. Questo è appunto l’assillo, il grido d’allarme lanciato da tutti i sondaggisti, commentatori e analisti politici: il 4 marzo non ci sarà nessun vincitore. Da qui, sempre per gli esperti, discenderebbero una catena di conseguenze nefaste: non ci sarà una maggioranza in parlamento, l’Italia sarà condannata alla ingovernabilità, diventeremo preda della speculazione dei mercati internazionali. Uno scenario da apocalisse annunciata.
I conti sono presto fatti. La coalizione di centrodestra sembra in netto vantaggio, vicina, molto vicina all’obiettivo, ma non abbastanza vicina per ottenere la maggioranza. Manca ancora una manciata di deputati e senatori per poter governare il paese. Se questi calcoli sono giusti (sembra che molto dipenda dal voto delle regioni del Centro Sud), se il centrodestra mancherà la vittoria, avremo evitato un futuro da incubo: il ritorno al medioevo berlusconiano condito con il populismo muscolare di Salvini e una spruzzata di sovranismo dei Fratelli d’Italia.
Molti (sottovoce) tifano invece per le ‘larghe intese’, un’ipotesi negata (a gran voce) sia da Forza Italia sia dal Partito Democratico, ma che entrambi segretamente coltivano: ne sortirebbe una maggioranza dal sapore antico e scudocrociato. Ma anche in questo caso i numeri per vincere non ci sono: il Pd continua a calare e Forza Italia non cresce abbastanza.
Scartate le prime due soluzioni non resta molto altro. Un governo di centrosinistra-sinistra appartiene oggi solo al mondo dei sogni. Se qualche anno fa era un’opzione difficile, ma comunque sul tappeto, ci ha pensato Matteo Renzi a dissolverla, anzi a farla esplodere. Voleva fortissimamente conquistare la ‘Terra di mezzo’: non solo non ha sfondato al centro, ma ha spaccato il partito, litigato col sindacato e dissipato un bel pezzo del patrimonio di voti di sinistra.
Infine i Cinque Stelle, le cui stelle – bisogna pur dirlo – hanno perso per strada molta della loro novità e brillantezza. Si sono spostati a destra (vedi il siluramento dello Ius soli o il recente flirt con la Lega), hanno varato un programma elettorale confuso e irrealizzabile, hanno dimostrato una caparbia incompetenza nel governo delle città, mentre la loro organizzazione interna continua a essere opaca e poco democratica. Nonostante tutto ciò, e nonostante l’ultima tegola servitagli dall’inchiesta delle Iene televisive (deputati furbetti e candidati massoni), tanti italiani continueranno a dare il voto ai Cinque Stelle. Per mancanza di alternative più che per convinzione. Potranno sfiorare il 30% e soffiare al Pd la palma di primo partito italiano, ma dal 30 al 51 per cento necessario per formare un governo c’è un abisso incolmabile e l’invito post-voto preannunciato da Di Maio è destinato al fallimento.

Eccoci dunque tornati alla fosca previsione degli analisti: elezioni senza un vincitore e un’Italia ingovernabile e destabilizzata. Ma siamo proprio sicuri che senza un governo non si tira avanti? Che un governo senza maggioranza, a tempo, che si limita all’ordinaria amministrazione sia peggio di un governo legittimato dal voto (o favorito da inciuci e cambi di casacca) che si lancia a capofitto in inique quanto fallimentari riforme fiscali?
A volte la storia insegna qualcosa. Dal 13 giugno 2010 al 6 dicembre 2011, cioè per quasi un anno e mezzo, il Belgio si ritrovò di fatto senza esecutivo. Un vero e proprio record, proprio per l’impasse post-elezioni che oggi noi rischiamo di vivere. Si era allora nel pieno della più grande crisi del dopoguerra, eppure il Belgio se la cavò benissimo. Sanità, scuole, commercio, economia: tutto andò a meraviglia. E la grande Germania? Dalle elezioni del settembre scorso la Merkel cerca di formare un governo; ci riuscirà (forse), ma la trattativa con una Spd divisa al suo interno si preannuncia ancora lunga. Eppure la locomotiva tedesca continua a macinare successi, il Pil vola, l’export pure, la disoccupazione è ai minimi, l’integrazione di un milione di nuovi immigrati sta avendo successo.
Se facciamo un bagno di realismo, queste inutili elezioni a risultato zero potranno portarci un risultato utile. Invece di un governo ‘legittimo’, ma avventurista, invece di deportazioni di poveri immigrati, invece di una ennesima e immancabile brutta riforma della scuola, invece di flax tax, reddito di cittadinanza e mance a colpi di 80 euro, invece – questo sì sarebbe il colmo della beffa – di un’altra (contro)riforma costituzionale (modello Berlusconi o modello Renzi), meglio, mille volte meglio, un vacuum dell’esecutivo, una specie di pausa di riflessione, un governo piccolo-piccolo che si limiti a far funzionare un po’ meglio le cose.
Senza contare che, se vince l’ingovernabilità, dopo le elezioni si conteranno morti e contusi. Dentro qualche partito si avvierà finalmente il dibattito autocritico e magari nascerà qualche idea nuova.
L’unico problema è che anche l’ingovernabilità – obbiettivo minimo, ma piccola ancora di salvezza – ce la dobbiamo guadagnare. Votando contro, ma votando. Perché se, per malaugurata ipotesi, dalle urne esce un vincitore (oddio, magari quello stesso di 24 anni fa) siamo nei guai.

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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