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Pellegrino Artusi (1820-1911), nativo di Forlimpopoli, è stato il più famoso gastronomo romagnolo, la sua opera ha attinto in gran parte dalle tradizioni della cucina della sua terra.
Il manuale gastronomico di Artusi intitolato “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, dopo un iniziale insuccesso, nel 1891 fece raggiungere al suo autore la popolarità. Il volume è in stampa da oltre cent’anni, tradotto in diverse lingue e, di fatto, è stato inserito nel canone della letteratura italiana. Dal 1997 la città di Forlimpopoli, in onore del suo famoso concittadino, attribuisce, nell’ambito della festa artusiana, il premio che porta il suo nome.

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La festa artusiana a Forlimpopoli

Nel 1913 Antonio Sassi realizzò un primo censimento della cucina “del popolo”, ritenuta più rispettosa della tradizione romagnola, elencando poche voci: la piadina, i cappelletti (in brodo o asciutti), i passatelli (in brodo o asciutti) e il pollo arrosto. La piadina, che alcuni documenti fanno risalire al 1371 e di cui in Romagna esistono numerose varianti secondo le zone, è una focaccia non lievitata che si prepara con farina di frumento, strutto o olio di oliva, sale e acqua, cotta su un piatto di terracotta chiamato “testo”. La piadina (oppure la pizza fritta) può essere abbinata a salumi, erbe e formaggi freschi, tra cui lo squacquerone, solitamente accompagnato dai fichi caramellati.

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Tagliatelle ai funghi

Prendendo come riferimento la letteratura popolare romagnola è possibile individuare altri primi piatti: i manfrigoli, pasta in brodo preparata nelle cene funebri (al ritorno dai funerali), gli gnocchi di patata, i tortelloni e le lasagne al forno. Per quanto riguarda i secondi non manca la carne lessa (indispensabile per la preparazione del brodo), la carne ai ferri (pancetta, castrato, salsiccia, braciola di maiale, costolette di agnello); tra i salumi la salsiccia, il salame, il prosciutto e la coppa. L’elenco dei dolci comprende, tra gli altri, la ciambella, i sabadoni (tortelli ripieni di castagne cotte e marmellata di mele, pere cotogne o fichi) e la saba, uno sciroppo prodotto con la riduzione a fuoco lento del mosto d’uva bianca o rossa, usato per bagnare i sabadoni.
L’identità della cucina romagnola nasce dalla cultura popolare e contadina, che si esprime soprattutto nelle minestre, la cui sfoglia deve essere rigorosamente “fatta in casa” con farina, uova e senz’acqua. Oltre alle minestre già citate, dalla sfoglia (tirata a mattarello) si ricavano: tagliatelle, tagliolini, quadrettini, maltagliati, strichetti (farfalline) e garganelli. Sempre con la sfoglia, ma senza uova sono fatti gli strozzapreti.

Il vertice della cucina marinara è rappresentato dal “brodetto”, che in Romagna si esige robusto e casalingo, denso di conserva di pomodoro, di aceto e di pepe nero; le capitali del brodetto sono Cervia, Cesenatico e Cattolica. Altrettanto deciso è il sapore del pesce in graticola (la rustìda), infilzato negli spiedini e cosparso con una panatura all’aglio e al prezzemolo. Per meglio degustare queste specialità non possono mancare i vini romagnoli, quelli più noti sono il Sangiovese (rosso) e i bianchi Trebbiano e Albana di Romagna.

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William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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