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Quando c’è troppo da vedere, quando una immagine è troppo piena, o quando le immagini sono troppe, non si vede più niente.” Wim Wenders

A poco più di un anno dal grande exploit e dell’Oscar de “La grande bellezza”, Paolo Sorrentino propone la sua nuova creatura “Youth – La giovinezza”; bellezza, giovinezza, termini di una ricerca che accompagna il percorso di ogni vita consapevole, tanto cari al nostro autore.

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La locandina

Con il vitalismo permeato dalla sua Napoli, ma intriso di una malinconia anch’essa partenopea (rafforzata dall’aver perso entrambi i genitori in un incidente in tenera età), Sorrentino ci accompagna nei pensieri, nelle tenerezze, nelle paure, ma anche nei desideri e nelle ingordigie di uomini soli. Come Jap Gambardella de “La grande bellezza”, anche Micheal Caine e Harvey Keytel percorrono la loro esistenza in un dialogo tendenzialmente solipsistico; vecchi amici, il primo musicista in pensione in bilico tra apatia e cinismo, assolutamente british, e il secondo, regista americano al suo ultimo e pateticamente testamentario film; complici nel declinare dell’età e nell’approssimarsi della tappa finale, ma capaci ancora di rimpiangere la mitica Gilda Black, la agognata ragazza di 60 anni prima, di cui non ricordano neanche di averne goduto o no le grazie “Te la sei portata a letto? La tragedia è che non me lo ricordo…”

youth-la-giovinezzaUn film certamente sulla perdita, sul tempo che consuma i ricordi; lo sgomento di non ricordare più i visi e i gesti dei genitori; la consapevolezza della assoluta caducità del tutto, il sentire quasi fisicamente il trascorrere delle vite consumare non solo le persone e le cose, ma i ricordi stessi. Strana analogia tra due autori in fondo profondamente diversi, ci viene in mente Mia Madre di Moretti, dove la Buy, sfiorando la libreria della mamma insegnante di liceo, dice “che fine faranno tutti questi libri, Terenzio, Catullo, Ovidio, e tutte le migliaia di giornate trascorse sui quaderni e sulle lezioni…”.

youth-la-giovinezzaL’ambientazione è in un Hotel termale sulle Alpi Svizzere, sospeso tra le nuvole e fuori dal tempo, frequentato da una umanità stranita: una coppia raggelata in un assoluto mutismo a tavola, un monaco buddista che cerca (pare con successo) la levitazione, un attore californiano in fuga dallo star system, un Maradona obeso e affannato, una Miss universo per niente oca che, splendida e tramortente nella sua regale nudità, entra in una fumante vasca, dove ai due trepidanti e senili amici non resta che tributare il trionfo appunto della giovinezza e della bellezza.
Un’estetica quella di Youth, fotografata da Luca Bigazzi, che si allontana da quella rutilante de “La grande Bellezza”, per cercare inquadrature dove prevale la sottrazione, dove le immagini a volte celebrative delle strade di Roma immortale e dei suoi fenicotteri e giraffe, qui si convertono in paesaggi naturalistici, si impongono le cime innevate, i mari verdi degli alpeggi, mucche imponenti in sintonia coi loro campanacci con un cenno di direzione orchestrale dalle mani di Micheal Caine.

youth-la-giovinezzaSi respira un’atmosfera nostalgica e malinconica, ma con una dimensione universale e simbolica, come un metaforico tetto del mondo, dove certo è ben presente il senso della fine e come detto del consumarsi, ma viene cercata attraverso l’ironia e la bellezza, eccola ancora, una via di consolazione e di pace; rubando anche affetto ed emozioni a una giovane e sensibile massaggiatrice o a una candida e docile prostituta, alla quale viene chiesta solo una passeggiata. Memorabile il cameo di Jane Fonda, nelle vesti di una consunta cinica ciclonica diva del cinema.

Un autore, il nostro, che oramai si afferma tra le eccellenze assolute, che dà al nostro cinema un respiro internazionale, e che costituisce senz’altro una risorsa e un punto di riferimento anche per nuovi giovani autori.

Youth – La giovinezza”, di Paolo Sorrentino, con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda, drammatico, durata 118 min., Italia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna, 2015.

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Massimo Piazza


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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