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da: ufficio stampa Ibs Libraccio

Con il consueto pienone di pubblico, ha chiuso ieri i battenti il ciclo di incontri in libreria Pagine sul potere, promosso dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Ateneo di Ferrara presso IBS+Libraccio. Dopo Giuliano Amato, Nadia Urbinati, Sabino Cassese, Luciano Violante, è stato il turno di Mauro Calise, politologo dell’Università di Napoli Federico II, con il suo libro La democrazia del leader (Laterza, 2016): un’indagine raffinata e non reticente sul fenomeno della personalizzazione della politica quale orizzonte cui guardare senza anatemi, ma cercando di indagarne le ragioni e di comprenderne potenzialità e rischi. Atteggiamento, questo, per troppo tempo assente in una sinistra riluttante e sospettosa verso una realtà da tempo presente oltreoceano, e di cui evidenti segnali sono ora presenti anche in Italia.
E’ toccato ad Andrea Pugiotto, ideatore dell’iniziativa, introdurre il tema. Ricordata la dimensione collegiale cui si ispira la forma di governo disegnata nella nostra Costituzione, per lungo tempo la leadership è stata giocata quasi esclusivamente sul piano politico, perché era il sistema dei partiti a prevalere – innervandolo – sul sistema istituzionale. E’ l’epocale terremoto che sconquassa il sistema politico italiano tra il 1992 e il 1994 a rompere tale schema di gioco: il rifiuto della partitocrazia spinge verso una «democrazia plebiscitaria» (Max Weber) costruita attorno a una legittimazione popolare diretta di un leader chiamato a rispondere per quanto fatto, non fatto, mal fatto. Ma che, negli ultimi vent’anni, si è realizzata “in salsa italiana”, con l’avvento di un partito personale aziendale e una costellazione di tante sigle personali dall’alterna fortuna.
Sollecitato dalle domande del costituzionalista Paolo Veronesi, è stato Mauro Calise a proporre una chiave di lettura positiva e propositiva della democrazia del leader, ripercorrendo criticamente un percorso che nasce con Craxi, esplode con Berlusconi, e trova ora interpretazioni inedite e differenziate in Grillo e Renzi. E’ l’intera dinamica delle relazioni tra le forze politiche a uscirne ridefinita, nell’attesa di una conformazione adeguata anche del quadro costituzionale (che l’Autore auspica in senso presidenzialista, di cui già ora intravede nei fatti la sostanza). Controcorrente anche le riflessioni sul “fattore M.” (media e magistratura), di cui è stata criticamente rilevata la scissione tra potere e responsabilità.
A chiudere, dopo un vivace dibattito con il pubblico, l’interpretazione che l’attore Marcello Brondi ha fatto del noto monologo di Giulio Andreotti (alias Toni Servillo) sulla natura del potere, tratto dal film di Paolo Sorrentino, Il Divo.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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