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Siamo tutti affamati di relazione. Una fame atavica che ha accompagnato il genere umano da sempre anche se ora è diventata voracità, perché il senso di solitudine si è rafforzato e diffuso come una mefitica macchia d’olio che permea le nostre esistenze. Anche se siamo in mezzo alla folla, anche se ben saldi nei nostri collaudati clan familiari, anche se siamo circondati da maree di individui come noi che si agitano, vociferano e vivono le loro storie gomito a gomito.
A volte riconosciamo faticosamente questa sensazione di vuoto che destabilizza, dissesta, paralizza, in altre situazioni preferiamo ignorare, rimuovere, cristallizzare in modo che tutto taccia perché il non pensare, rispetto all’agire, appare come la sofferenza minore. Molto spesso ci arrabattiamo a trovare vie d’uscita a questo senso unico che aggiunge avvilimento e mancanza di vitalità ad uno stato già di per sé sconfortante ed allora la soluzione può essere qualsiasi panacea dia sollievo in quel preciso istante, pronti a reiterare il ‘rimedio’ e disposti a tutto pur di alleggerire quel peso opprimente.
Abbandoniamo per un attimo le considerazioni storico-sociologiche a cui potremmo appellarci per trovare cause ed effetti in un cambiamento epocale che ha creato o accelerato la carenza o mancanza di interazione sociale e gli ampi vuoti nella comunicazione interpersonale, per riflettere su cosa cercano le singole persone in situazioni di problematicità. Un tempo, e neanche tantissimo tempo fa, c’erano il prete, il vecchio saggio del paese, a volte il medico, il maestro o una figura familiare di riferimento a cui rivolgersi per parlare. E si ‘parlava’. Erano momenti intensi che davano senso alla vita, alla sofferenza, al dolore, al disagio attraverso le parole che partivano dal più profondo, accompagnate dal pianto, dal gesto, dall’enfasi. Era un depositare quanto di più recondito in mani sicure e forti, quelle stesse mani che alla fine aiutavano a risalire in superficie. Poi qualcosa è cambiato, il fenomeno ha accentuato la sua drammaticità e il bisogno di ascolto si è allargato chiedendo altre tipologie d’intervento e tamponamento a situazioni di inquietudine diffusa che diventava quasi emergenza. Occorreva raggiungere quante più persone possibili, era necessario che “quelle mani” afferrassero chiunque lo richiedesse, per accogliere tristezza, disillusione, rabbia, sfiducia nella vita, disorientamento, emotività incontrollata e disagi di ogni tipo. Ed ecco che nel 1906 parte a New York il primo centro di ascolto telefonico, “Save a Life”, per opera di volontari, nel tentativo di arginare l’ondata di suicidi nella metropoli. Nel 1953 viene istituito a Londra il centro di ascolto di prevenzione al suicidio. In Italia arriverà nel 1973 Telefono Amico. Un ponte invisibile che unisce luoghi e momenti storici differenti per affermare la stessa progettualità, perseguire lo stesso scopo: quello di restituire sostegno a quella parte di società che arranca tra difficoltà e isolamento.
Da allora, in Italia sono sorti altri centri che attraverso la silenziosa ed efficace presenza di volontari preparati all’ascolto e all’aiuto nei casi più disparati, operano 24 ore su 24 portando sollievo, consigliando e soprattutto collaborando strettamente in rete con associazioni, specialisti ed enti pubblici.
C’è chi chiede velatamente sostegno per maltrattamenti in famiglia, criptando parole e discorsi per paura o imbarazzo; chi lo fa per abitudine perché senza quella chiamata tre volte al giorno si sgretola come una figurina di argilla; c’è chi chiede ansiosamente conferme sulle sue scelte di vita negli snodi cruciali del proprio percorso e chi riversa fiumi di parole sulla vecchiaia, la malattia, la morte. Poi c’è ancora chi chiama per parlare, parlare di cose apparentemente banali ma pregne di quel bisogno di farsi riconoscere come individuo. Io ti parlo, tu mi ascolti. Io esisto.
C’è bisogno di ascolto, di quell’ascolto gratuito, privo di pregiudizio e condizionamento ma allo stesso tempo partecipe e attento. C’è bisogno della consapevolezza che c’è sempre qualcuno disposto a recepire con cognizione e sensibilità lo sfogo di un momento dando una mano, offrendo il proprio tempo e facendosi carico dell’altro. E questo fa la differenza tra il soffrire in solitudine e il condividere tra simili, dimezzando quelle zavorre che a volte impediscono di vivere.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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