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da: Ranieri Varese

Sono stato più volte chiamato in causa sulla proposta di ‘polo museale’ e sulla attività di ‘Ferrara Arte’: significa che il tema è presente. Osservo che quando il dibattito scade nell’insulto (sono stato accusato di fare ‘sparate’ di essere ‘spocchioso’, ‘livoroso’) viene meno la utilità del confronto.
Provo a ritornare alle osservazioni iniziali. Continuo a ritenere che la formula ‘polo museale’ sia vuota: chi la utilizza non ne specifica né i contenuti né gli attori, non la aggancia ad alcuna normativa, a dati verificabili. Egualmente vuote le frasi sul ‘fare sistema’. Esiste una legge regionale, n. 18 del 24 marzo 2000, che prevede la istituzione del ‘sistema musei’; esiste un pronuciamento delle associazioni cittadine con proposte concrete. Le forze politiche che hanno approvato la proposta di ‘polo museale’, da ‘Forza Italia’ al ‘Partito Democratico’, possono predisporre e proporre un progetto e un articolato, definire contenuti e forme. Possono egualmente motivare perché non vogliono il ‘sistema’. Possono anche giocare.
Credo lecito dire che l’interesse e la qualità delle mostre varia; che la sede è ‘inadeguata’, che, vista la disponibilità del Castello, si può pensare ad altre soluzioni.
Ho già detto che ritengo come la presenza, ‘forte’, di ‘Ferrara Arte’ abbia condizionato, negativamente, l’attività dei musei in Ferrara. E’ interessante ricostruirne il meccanismo operativo. I soci della Fondazione sono due, Comune e Amministrazione Provinciale, eleggono un Consiglio di Amministrazione formato da tre persone. La Assemblea dei soci di fatto coincide con il consiglio di amministrazione. Oltre ai revisori dei conti nessun altro organo è previsto in statuto. La attività si deve svolgere ‘in collaborazione con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea’: a costo zero si presume.
Antecedente al 1992 -data della istituzione, Sindaco Soffritti- il meccanismo era questo: l’assessore competente portava in commissione consiliare o direttamente in giunta la proposta, passibile di modifiche, passava poi al Consiglio che poteva modificare, respingere o approvare.
Oggi il Consiglio è completamente esautorato; ripiana scelte avvenute all’esterno.
Visto che le mostre non sono tutte di arte moderna o contemporanea perché non è stata prevista una eguale collaborazione con le Gallerie d’Arte Antica ? In questo caso chi dà la necessaria consulenza al Consiglio di Amministrazione ? La competenza istituzionale e personale della dottoressa Pacelli si limita alla contemporaneità, non può essere costretta ad indicazioni che ne esulano. Come e chi sceglie ? come si forma la conoscenza per le decisioni ?
In bilancio vi è la voce ‘personale’, che incide per circa un quinto: :non dovrebbe esistere, visto che la parte operativa è demandata alle Gallerie d’Arte Moderna. Manca un ‘regolamento’ per le attività, esistono solo quello ‘di contabilità’ e quello ‘per le spese economali’. Il primo prevede cinque responsabili di settore. Coincidono con analoghe posizioni nelle ‘Gallerie’ ? sono pagati ? chi li ha nominati ? Il sito è abbastanza opaco. La fondazione, per statuto, lavora ‘sulla base di progetti triennali: non ve ne è traccia, così come delle relazioni al bilancio e delle deliberazioni. Ricordo che in Comune tali atti sono pubblici. L’obbligo ‘alla massima trasparenza’ pare ancora non assolto. Propongo di dedicare nei cataloghi delle mostre una paginetta alla illustrazione del progetto e dei costi.
Ho considerato le mostre degli ultimi 20 mesi. ‘Boldini Previati De Pisis’ 13/10/2012-13/1/2013 visit. 38.265; ‘Lo sguardo di Michelangelo Antonioni’ 10/3-9/6/2013- visit. 15.779; Zurbaran 14/9/2013-6/1/2014 visit. 65.274; Matisse 25/2-15/6/2014 visit. 126.644. Mi chiedo quale sia il filo che le unisce ? Mi chiedo, non solo sul piano turistico, che senso ha, su 20 mesi e su complessive 245mila presenze, concentrarne il 61% in tre mesi e mezzo ? Non è più opportuno costruire le condizioni per una presenza continuativa nei dodici mesi ? Non vale la pena discuterne utilizzando dati concreti e modi civili

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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