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“La buona scuola? Una scuola aperta alle innovazioni ma capace di conservare le cose buone del passato, come il recupero della manualità. Ci sono alunni capaci di utilizzare un tablet ma incapaci di piegare un foglio in quattro parti. Bisogna mettere mani alle graduatorie: non è più pensabile di poter iniziare un anno scolastico senza sapere da chi sarà formato l’organico o peggio, senza l’organico sufficiente a far fronte ad una esigenza primaria come il sostegno per chi ne ha bisogno. Questa riforma è espressione di una volontà del Governo ma è stata attuata senza che noi, che ci spendiamo ogni giorno perché la scuola sia davvero buona, fossimo sentiti”. Mauro Presini, insegnante di scuola elementare, con oltre trent’anni di carriera alle spalle, specializzato per le attività didattiche di sostegno e da sempre attivo nel sociale, giudica così la normativa predisposta dal Governo. Per parte loro, le associazioni di categorie e i comitati Lip (legge di iniziativa popolare) sono in fermento: si ritiene antidemocratica una riforma scolastica adottata “d’imperio” dal Governo, senza alcun coinvolgimento degli operatori del settore.

A inizio gennaio sono scaduti i diciotto mesi previsti dall’ordinamento giuridico perché si completasse l’iter del disegno riformatore del sistema scolastico italiano, ma nessuna delle nove deleghe della proposta di Legge 107 (conosciuta come “Buona Scuola”) è ancora stata approvata dal Parlamento. Per ovviare al problema, il 14 gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato otto decreti legislativi di attuazione della legge 107 che riguardano l’accesso all’insegnamento nella scuola secondaria, l’inclusione degli alunni con disabilità, il sistema integrato di educazione 0-6 anni, il diritto allo studio e la promozione della cultura umanistica, il riordino della normativa sulle scuole italiane all’estero e l’adeguamento della normativa in materia di valutazione e certificazione delle competenze degli studenti e degli esami di stato. Per la revisione del Testo unico sulla scuola sarà successivamente introdotto uno specifico disegno di legge. I provvedimenti vanno ora alle Commissioni parlamentari competenti e in Conferenza Unificata. Ma la forzatura del Governo ha fatto gridare all’atto di imperio. Abbiamo approfondito il ragionamento proprio con il maestro Presini, noto e stimato esponente del movimento di protesta degli insegnanti ferraresi.

Tra le deleghe appena approvate dal Governo nell’ambito della legge 107 si riforma l’ambito della inclusione degli alunni con disabilità: cosa ne pensa?
Sulla figura del maestro di sostegno si fa molta confusione. Si pensa sia un insegnante a parte che nulla ha a che fare con la classe. L’insegnante di sostegno, invece, è contitolare della classe ed è assegnato alla classe e non singolarmente all’alunno, come erroneamente si pensa. L’insegnante di sostegno deve attuare interventi di integrazione unitamente agli altri insegnanti poiché insieme hanno la responsabilità della realizzazione del processo di integrazione scolastica. Questo è il vero spirito del sostegno scolastico: l’inclusione. E l’inclusione è ambivalente: deve valere per l’alunno che necessita di sostegno e per la classe nella quale è inserito. Con la riforma che si vuole attuare si parla di specializzazioni sempre più specifiche, addirittura per patologia. Come se gli alunni potessero essere catalogati a seconda della loro patologia. In questa eccessiva specializzazione si rischia di allargare il divario che vuole l’alunno con sostegno fuori dalla classe, di creare un mondo a parte.

Quindi, secondo lei, la riforma non ha centrato il fulcro del problema?
No. Io ho la specializzazione per la didattica di sostegno ma non sono un insegnante diverso dagli altri, sono un contitolare della cattedra e insieme agli altri insegnanti si agisce di concerto per portare avanti le attività scolastiche. Eppure, nonostante l’importanza della figura dell’insegnante di sostegno, succede spesso che lo stesso venga nominato ad anno scolastico iniziato. L’alunno che ne ha bisogno si trova a non essere affiancato da nessuno oppure si cerca di colmare il vuoto assegnandogli un insegnante, magari privo di specializzazione, che possa sanare la lacuna fino alla nomina dell’insegnante. I genitori lamentano, giustamente, poca continuità e la classe ne risente. Il vero problema, a mio avviso, rimangono le graduatorie. La riforma non va a toccare questi disservizi che sono a livello ministeriale.

Può spiegarci meglio?
Prima vi era più certezza nella scuola e ciò favoriva di sicuro lo svolgersi delle attività scolastiche nel migliore dei modi. L’insegnate che avevi in prima elementare, nella maggioranza dei casi, ti seguiva fino all’esame di quinta. Ora non è più così. Chi è un insegnate di ruolo è abbastanza certo, ma, visti i tagli del personale, ci si affida sempre più ai supplenti che possono avere solo incarichi annuali. Con l’aggiornamento delle graduatorie, dopo un anno, lo stesso supplente può essere destinato ad altro ruolo. Ci si trova sempre in deficit di personale e con insegnanti sempre diversi. Ciò vale anche per il sostegno e le conseguenze sono la mancanza di continuità e i ritardi nelle nomine, come si diceva prima.

Cosa ne pensa della riforma sul sistema educativo riguardante gli asili nido e le scuole per l’infanzia?
Trovo che sia una buona cosa che il Governo se ne occupi nell’ottica di una valorizzazione dell’esperienza del nido. I nidi e le scuole d’infanzia italiane, così come le scuole elementari, sono state per tantissimo tempo al vaglio di diversi paesi stranieri. Eravamo studiati come modello e dobbiamo tutelare il buone che viene da questa tradizione. La riforma prevede di ampliare il servizio nido dal 15% al 33%, arrivando a coprire il 100% del nostro territorio. Mi sembra un’ottima cosa in considerazione che ci sono realtà territoriali assolutamente carenti di questo essenziale servizio.

Quali sono i punti di forza della riforma sulle scuole d’infanzia e quali, invece, gli aspetti negativi?
I punti di forza sono sicuramente una maggiore specializzazione delle insegnanti e il continuo aggiornamento delle insegnanti. Il problema a mio avviso rimangono i fondi: la delega approvata parla di 229 milioni di euro per attribuzioni agli Enti locali. Sono pochissimi per un progetto tanto ambizioso. Lo Stato vuole riformare la scuola ma senza assumersi la responsabilità di investire veramente in essa. La delega non parla per niente del reperimento delle risorse necessarie alla riforma: quindi se un anno non ci sono le risorse economiche si torna al passato? Sempre più asili comunali appaltano i propri servizi a cooperative di privati. Ma è chiaro che così facendo si portano nel settore pubblico degli aspetti del lavoro privato che non vanno bene. Il personale magari è sottopagato e pronto ad accettare altri lavori se gli vengono proposti. Si torna quindi ad dover fronteggiare un continuo cambio di personale. In linea di principio poi ritengo che debba essere lo Stato ad assumersi l’onere di investire nel settore scuola. I privati sono sicuramente liberi di operare, e anzi svolgono un servizio necessario per la comunità, ma con fondi propri.

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Simona Gautieri


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