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Credo l’aurora: la veniente dalle tenebre, l’avvolta dal silenzio, sentiero che porta alla luce e ridona spazio e chiarore alle cose, luminosità al volto dell’uomo.

Credo l’aurora: soffio perenne e spirazione del vento di Dio sull’oscurità di caotiche acque, che apre una via tracciando orme invisibili nella notte, ampio respiro dopo l’indescrivibile affanno che serrava la gola.

Credo l’aurora: nata dal cuore di Dio e, per questo, luogo di cominciamento; momento di risveglio e plasmazione, che rialza e fa ripartire di nuovo ogni giorno finché non sia compiuta l’opera dei giorni. È come una madre che rimette in piedi il figlio caduto dopo i primi passi. Come il vasaio di Geremia che ricomincia da capo quando l’opera non prende la forma voluta: «Questa parola fu rivolta a Geremia da parte del Signore: “Prendi e scendi nella bottega del vasaio; là ti farò udire la mia parola”… ed ecco, egli stava lavorando al tornio. Ora, se si guastava il vaso che egli stava modellando, come capita con la creta in mano al vasaio, egli rifaceva con essa un altro vaso, come ai suoi occhi pareva giusto» (Ger 18, 1-4).

Credo l’aurora: risveglio della creazione nel quotidiano; annuncio della nuova creazione nel mattino di Pasqua, fenditura sempre aperta da cui transitò e continua a irradiarsi la luce del Risorto. «Allora – dice Isaia – la tua luce sorgerà come l’aurora» (Is 58, 8)

Tensione verso la luce è, dunque, l’aurora, perché attesa e al contempo rivelazione della parola per cui tutte le cose sono fatte e ricreate in un processo generativo continuo. È sosta e scoperta pure del Verbo venuto ad abitare la nostra storia legando il suo destino al nostro, per sempre. Verbo che muta le sorti; che fa risorgere dall’oscurità e ripartire verso un cammino sconosciuto qual è, all’aurora, l’aprirsi di un nuovo giorno. È lei che dice all’homo viator con le parole di un poeta: «Viandante, sono le tue impronte/ il cammino, e niente più,/ viandante, non c’è cammino,/ il cammino si fa andando./ Andando si fa il cammino,/ e nel rivolger lo sguardo/ ecco il sentiero che mai/ si tornerà a rifare./ Viandante, non c’è cammino,/ soltanto scie sul mare» (Antonio Machado).

Crede all’aurora anche il poeta del salmo 129 e pure quello del salmo 63. Il primo, nell’oscurità della notte, attende l’aurora più delle sentinelle di guardia alla città: «Sono rivolto al Signore e attendo la sua parola più che le sentinelle all’aurora». Il mistico del secondo salmo, cercatore di Dio, la brama dopo una notte di turbolenta attesa: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua. Sul mio giaciglio penso a te nelle veglie notturne…  A te si stringe l’anima mia: la tua destra mi sostiene». E come non pensare alla notte nella quale Giacobbe lottò con l’angelo di Dio sino al sorgere dell’aurora, in cui lo scontro si mutò in benedizione: alba di un nome nuovo.

Credo nell’aurora: e non sembri eccessivo e indelicato dirlo, pensando al ‘credo’ proclamato nella messa, al termine dell’omelia, quale sintesi e conferma della fede degli apostoli, simbolo, trasmissione di una comune attesa che diviene risposta orante dell’assemblea dopo la proclamazione della Parola di Dio.

Si dichiara di fronte a tutti ciò in cui crediamo, ciò che ci fa vivere, per aderire con l’intero vissuto della nostra testimonianza alla fede apostolica passata di generazione in generazione, di chiesa in chiesa, sino a noi. È lo stesso sì, il credo confessato con il martirio dagli apostoli e poi trasmesso ai loro successori. Una risposta custodita con fedeltà e creatività al Cristo proclamato nel vangelo appena udito. Il credo è l’adesione alla Parola ri-pronunciata anche oggi, vincolo sostanziale tra i credenti, abitato dallo Spirito che attualizza la Tradizione antica, trasmessa dai, Padri nella professione dell’unica fede con una rinnovata epiclesi, una nuova ‘invocazione dello spirito’ nell’atto della celebrazione e nella storia che ricompagina la compagnia della fede di oggi con quella delle origini.

La professione della fede non è appena un pronunciamento dottrinale: è un credere a quello che crede Dio, la famiglia umana, la sua famiglia e noi figli nel Figlio. Risveglia così la coscienza a una responsabilità e prassi interna ed esterna all’ekklesia: l’impegno a una conversione totale del vivere cristiano nel servizio dell’uomo e del vangelo.

Una volta, distraendomi nella recita del credo, mi sorprese un pensiero impertinente, e mi domandai: «Ma Dio crede? Che cosa crede?». Rimasi senza risposta quella volta. Ma una fredda mattina d’inverno, era domenica dopo una nevicata, andai a vedere il sorgere del sole dalle parti di Cona, sulla via della Ginestra. È bello, sapete, vedere rinascere gli alberi, le case, la strada; il loro passare lentamente dall’oscurità alla luce, dalla morte alla vita. Raggiunsi così un piccolo lago nei pressi che era tutto gelato, come del reso lo era anche la strada, e lì attesi l’aurora. Quella volta vidi il sole sorgere per ben tre volte all’orizzonte: tra gli alberi spogli sulle sponde del laghetto, riflesso sulla superfice ghiacciata dell’acqua e infine, facendo alcuni passi indietro, lo vidi di nuovo specchiarsi, e risorgere, dalla strada gelata. Fu allora che arrivò la risposta a quella domanda che si era perduta.

Dio crede l’aurora! Perché egli viene a noi come l’aurora, e come l’aurora la sua venuta è sicura (Os 6,3). Ma non è forse vero che le sue storie e quelle del figlio, iniziano all’aurora? “Uscì il seminatore a seminare…; il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna… Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba… E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!”

Dio crede nell’aurora perché crede nel Figlio, l’amato, è detto nel salmo 110, 3: «dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato». Ma il suo credo l’aurora, Dio lo dice pure con le parole del Cantico dei Canti: «chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole,/ terribile come schiere a vessilli spiegati?». Non è forse costei l’umanità in cammino verso il suo compimento in Dio? Per Gregorio Magno è la stessa assemblea dei credenti, l’ekklesia, che come sposa va incontro al suo sposo: «Il primo albore o aurora fa passare dalle tenebre alla luce; per questo non senza ragione con il nome di alba o aurora è designata tutta la Chiesa degli eletti» (Commento a Giobbe).

Credo nell’aurora – dice Dio – questa mia figlia dello stato nascente, che attraversa la soglia del nulla e fa passare dal buio alla luce, dalla morte alla vita. Essa precede sempre, cammina innanzi a me e ai miei figli e il pensiero di lei risveglia a entrambi il cuore come è detto nel salmo: «svégliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora» (Sal 57,9).

In questi giorni, ascoltando per caso una canzone di Marco Mengoni dal titolo Essere umani, mi è tornata alla mente la domanda: «Dio crede?». E la risposta è stata quasi immediata, ricalcata dalle strofe di quella canzone («Credo negli esseri umani,/ Che hanno coraggio/ Coraggio di essere umani»). Sì, Dio crede negli uomini resi fratelli da suo figlio; egli si affida così nelle mani di coloro che spezzano il pane con l’affamato, accolgono in casa i senzatetto e vestono coloro che sono spogliati della loro dignità. Così mi piace pensare che quando Dio creò la donna, dopo aver addormentato l’uomo, le consegnò le parole da sussurrare al cuore di ogni uomo che viene in questo mondo al sorgere dell’aurora, parole simili a questa canzone: «Ma che splendore che sei/ Nella tua fragilità/ E ti ricordo che non siamo soli/ A combattere questa realtà». Allo stesso modo, il mattino di Pasqua, il Risorto parlò al cuore impaurito delle donne, parole da riferire poi ai discepoli e penso assomigliassero a queste: «Prendi la mano e rialzati/ Tu puoi fidarti di me/ Io sono uno qualunque. Uno dei tanti, uguale a te».

La Lettera agli Ebrei ci chiede di tenere ferma la professione della nostra fede in colui che ha attraversato i cieli, Gesù Cristo, il figlio di Dio. Colui che, salvo nel peccato, ha saputo prendere parte alle nostre debolezze, condividere ogni prova, incluso la sofferenza più atroce e la morte, che attende l’uomo. L’invito è allora quello di avvicinarci con piena fiducia a questa «notte calma molto vicina al sorgere dell’aurora», come canta Giovanni della Croce pensando all’umanità di Dio nascosta in Gesù: «Dove ti nascondi? … L’amato è le montagne, le valli solitarie e ricche d’ombra, le isole remote, le acque rumorose, il sibilo dell’ aure amorose. È come notte calma molto vicina al sorger dell’aurora, musica silenziosa, solitudine sonora, è cena che ristora e che innamora», (CA 13-14). Il Concilio Vaticano IItantum aurora est, “è appena l’aurora” disse papa Giovanni XXIII – ha recepito questa mystica lectio in dialogo con il mondo di oggi quando afferma che «con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. [Egli] ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi… ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte acquistano nuovo significato… perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre!», (Gaudium et spes, 22).

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Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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