Skip to main content

«Gaudium unitate»: la gioia nell’unità, dove il sostantivo unitas è declinato all’ablativo unitate, anziché al genitivo unitatis onde sottolineare, non già una determinazione della gioia che la specifica, la gioia dell’unione, ma per evidenziare ciò che ne è la causa, uno stato in luogo figurato, là dove essa si origina, l’ambito in cui se ne fa esperienza al vivo.

Frutto di quel ‘convenire insieme per vedere, valutare, ed agire insieme’, affinché la gioia del Signore – che è là dove due o tre sono riuniti nel suo nome – sia forza per tutti, gioia di entrare tutti per la stessa soglia, quando si celebra e quando si riflette e si vive insieme.

Ho pensato così che l’espressione In unitate gaudium potrebbe essere un buon titolo di una esortazione di papa Francesco ai cristiani in sinodo, al fine di focalizzare il rapporto fondamentale tra sinodalità e liturgia.

L’invocazione dello spirito nella storia e nella celebrazione liturgica fa si che la celebrazione eucaristica, come lo è la liturgia per l’agire della chiesa, sia fonte e culmine pure del processo sinodale, punto di arrivo, origine e meta del cammino dei cristiani.

La sinodalità non è infatti un metodo, una strategia pastorale come pensano alcuni, ma «l’ordine sinodale è un modo di esprimere il primato dell’amore a livello stesso della Chiesa» (Ghislain Lafont [Qui]), primato dello Spirito di amore così come viene celebrato e vissuto nell’assemblea liturgica che poi deve traboccare nella storia e nelle relazioni tra le persone.

La celebrazione eucaristica costituisce così il paradigma fondamentale dell’evento e del processo sinodale. Come l’eucaristia deve continuare nella vita, così la sinodalità è esercizio permanente, affinché non si abitino solo i luoghi ma le relazioni, non si vivano gli eventi ma i processi.

È lo Spirito Santo che invocato sul pane e sul vino rende presente il Signore Gesù nell’assemblea domenicale, ed è lo stesso Spirito poi che abita le nostre relazioni, suscitando nell’atto del convenire processi che maturano verso il consenso e stili di vita e forme istituzionali più evangelici.

«È il primo attore del sinodo – ricordava il papa al Sinodo amazzonico – per favore, non lo scacciamo; dobbiamo consentire allo Spirito di esprimersi». La sinodalità è così ascolto dello Spirito che parla alle chiese e ai singoli battezzati per attuare convergenze: «Dove lo Spirito è presente, c’è sempre un movimento verso l’unità, ma mai verso l’uniformità», (Ritorniamo a sognare, 75).

In questa prospettiva l’eucaristia diviene atto educativo e performativo: una mistagogia, iniziazione ad un tempo al mistero pasquale e al camminare insieme; essa introduce nel mistero del pane spezzato lungo il cammino condiviso.

Come nella liturgia eucaristica così nel processo sinodale si compie la stessa «dinamica evangelica di un Dio che si avvicina, ascolta, vede e risponde. L’obiettivo di un processo sinodale è annunciare il Vangelo in un dato contesto per andare incontro alle particolari sfide delle persone che vivono in quel luogo. La sinodalità permette alla Chiesa di incarnare ciò che proclama», (Mario Grech [Qui], nuovo segretario generale del Sinodo dei vescovi).

L’ultimo scritto dello storico Giuseppe Alberigo (1926-2007) [Qui], che fu segretario e anima dell’Istituto per le scienze religiose di Bologna (Fscire) fondato nel 1953 da Giuseppe Dossetti [Qui], è come il suo lascito testamentario alla Chiesa italiana e ai suoi collaboratori. Egli diresse e coordinò l’équipe prevalentemente internazionale dalla quale sono usciti i cinque volumi della Storia del concilio Vaticano II.

«Sinodo come liturgia» è il titolo del suo testo pubblicato su Regno-doc. 13, 2007, 443. L’invito e la consegna dell’allievo di Hubert Jedin e di Delio Cantimori è stato quello di proseguire la ricerca sul rapporto tra momento eucaristico-sacramentale dell’assemblea liturgica e il momento sinodale della vita ecclesiale, al fine di arrivare a dare un autentico carattere assembleare alla chiesa come pure alla celebrazione dell’eucaristia.

Così Alberigo scriveva nell’articolo: «A quasi mezzo secolo dalla conclusione del Vaticano II, occorre riconoscere che la conciliarità ha ottenuto maggiori consensi a livello dottrinale che istituzionale e, tanto meno, ha inciso sulla vita delle comunità. Infatti quasi tutte le forme di organizzazione delle Chiese cristiane provano difficoltà e resistenze a darsi istanze stabili di comunione e di partecipazione generalizzata, alle quali sia riconosciuta anche un’effettiva, operante autorità decisionale.

La tenace resistenza dell’egemonia “clericale”, concentrata nelle rivendicazioni romane, costituisce un ostacolo verso un rinnovamento conciliare, altrettanto quanto la – simmetrica – radicata passività del popolo credente.

È diffusa la convinzione che sia necessario ripensare la concezione della Chiesa a partire dai dati certi ed elementari della fede oggi e che si debba ridisegnare un’ecclesiologia istituzionale coerente. Sembra opportuno un ripensamento tanto fedele alla Tradizione, quanto libero e creativo.

Insistere a ritenere adeguato per la comprensione della Chiesa lo schema centro/periferia pone ormai al di fuori della realtà e costituisce un ostacolo alla realizzazione della comunione. Troppo frequentemente l’esasperazione di un’ecclesiologia insensibile sia alla centralità della comunità eucaristica, sia alle identità culturali delle diverse aree, insiste a esaltare il modello del “capo”.

Ne è frequentemente conseguito l’azzeramento – o quasi – dello spazio e del riferimento all’azione dello Spirito Santo, nonché la marginalizzazione del popolo fedele. Sembra necessario riconoscere che la ricerca – pure legittima – della certezza e della stabilità nelle strutture della Chiesa e nella sua vita concreta esige di essere composta con delicato discernimento col riconoscimento dell’imprevedibile soffio dello Spirito e con la correlativa dinamica dei carismi e, pertanto, richiede nuovi paradigmi» (ivi, 443-444).

«Non soltanto comunità, ma comunità assembleare, comunità tutta gravitante verso il suo porsi in atto e manifestarsi nell’assemblea, in un atto assembleare organico», così concludeva Alberigo ed è questo il cammino che papa Francesco ripropone anche oggi alla Chiesa.

Per la settimana mariana, lo scorso ottobre in diocesi, le riflessioni alle messe infrasettimanali tenute dai celebranti hanno inteso fare memoria e ridestare alla coscienza delle persone provenienti delle parrocchie cittadine l’operosità che le nostre comunità hanno mostrato nell’ultimo Sinodo (1985-1992) promosso e guidato dal vescovo Luigi Maverna.

A me era stato affidato il tema: “Eucarestia pane per il cammino”. Si trattava di mediare la riflessione attraverso le letture bibliche del giorno: Giona 4,1-11; e il Padre nostro in Lc 11,1-4.

Pane in cammino è la parola profetica. Essa cammina innanzi, battistrada che apre la strada verso gli altri; è portatrice di perdono, perché animata dallo Spirito, colui che è la remissione stessa dei peccati, parola generatrice di inclusione e di condivisione senza misura: questo ci dice la parabola di Giona profeta.

Egli non fa che tracciare confini, marcare la differenza, attestare la diversità tra lui e i pagani, rifiutarsi di seguire la Parola, escludersi per escludere e invece i marinai nella nave in tempesta fanno di tutto per riconoscere la sua diversità anche religiosa e accettarla, anziché buttarlo a mare per calmare la tempesta.

La parola di Dio tutte le volte lo riporta sulla strada verso l’inclusione; essa rimane aperta in attesa della sua conversione, anche quando lui resta chiuso in se stesso. Pane in cammino è la parola di Dio, non solo per i destinatari di questa parola, gli abitanti di Ninive, ma anche per colui che la porta. Anche per Giona, anche per la chiesa, la parola di Dio, è pane in cammino, pane di conversione che reimmette sulle strade di Dio.

Pane del cammino è la preghiera del Padre nostro. Si chiede il pane quotidiano, per arrivare a nutrirsi del pane della Parola e imparare che non si vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

«Ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore», (Dt 8, 3-4).

Il Padre nostro è viatico, pane per il viaggio, nel nostro esodo verso il Padre, che nutre la nostra fraternità in Cristo. Proprio perché posto nel cuore della celebrazione liturgica, il Pater noster pone nel cuore di ogni preghiera il mistero pasquale e diventa così pane per una chiesa in cammino sinodale.

Pane del camminare insieme è allora l’eucaristia. La chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia apre sempre di nuovo il cammino della chiesa. Nel segno del pane condiviso l’eucaristia diventa pane sinodale, per nutrire i fedeli nel consenso della fede e nell’impegno a perseguire la comunione.

La descrizione della Didaché dell’assemblea cristiana convocata alla mensa domenicale può allora essere presa come immagine della sinodalità: «Nel modo in cui questo pane spezzato era dapprima grano sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli», (9, 4).

La gioia nell’unità è simile alla ‘nostalgia del mare’, propria dell’uomo che solca i mari, lontano dalla patria, o di chi migrante rafforza in lui l’istinto di vita, e la nostalgia diventa lotta per il futuro. Chi l’ha sperimentata una volta è sempre pronto a prendere il largo e ripartire.

Soledad-Saudade dicono i brasiliani, un ardente desiderio che è nostalgia di una presenza che spezzi la solitudine, di un incontro che riaccenda la gioia del ritrovarsi insieme; uno stato d’animo non passeggero e non futilmente sentimentale, caratterizzato da ricordo che infonde speranza; un sentire congenito alla solitudine in cerca di solidarietà.

Antoine de Saint-Exupéry [Qui] ci ricorda: «Se vuoi costruire una barca (e la Chiesa è una barca), preoccupati sì di avere il legname, i carpentieri, i fuochisti e i mozzi di bordo, ma più ancora, se vuoi costruire una barca, preoccupati di dare a tutti la nostalgia del mare infinito”: Gaudium unitate.

Per leggere gli altri articoli di Presto di mattina, la rubrica di Andrea Zerbini, clicca [Qui]

tag:

Andrea Zerbini

Andrea Zerbini cura dal 2020 la rubrica ‘Presto di mattina’ su queste pagine. Parroco dal 1983 di Santa Francesca Romana, nel centro storico di Ferrara, è moderatore dell’Unità Pastorale Borgovado che riunisce le realtà parrocchiali ferraresi della Madonnina, Santa Francesca Romana, San Gregorio e Santa Maria in Vado. Responsabile del Centro di Documentazione Santa Francesca Romana, cura i quaderni Cedoc SFR, consultabili anche online, dedicati alla storia della Diocesi e di personaggi che hanno fatto la storia della chiesa ferrarese. È autore della raccolta di racconti “Come alberi piantati lungo corsi d’acqua”. Ha concluso il suo dottorato all’Università Gregoriana di Roma con una tesi sul gesuita, filosofo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it