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Di tutti ma non per tutti, l’esperienza del cohousing, che fa l’occhiolino ai rapporti di buon vicinato, migliora la qualità della vita, delle relazioni, garantisce servizi gratuiti e il risparmio, da quello energetico fino a quello economico, ha dei costi iniziali impegnativi. Soprattutto per i più giovani. “Abbiamo realizzato un sogno, ma per farlo abbiamo venduto il nostro appartamento come molte delle famiglie partecipi dell’operazione”, racconta Alida Nepa, presidente di Solidaria Cohousing, l’associazione che interloquisce con le istituzioni su obiettivi e vantaggi della nuova frontiera abitativa. “Serviva una liquidità per comprare il terreno e realizzare l’edificio. Non tutti hanno soldi da anticipare, specie quando si tratta di persone giovani, ancora prive di risparmi”.

Il cohousing, cinque realtà in Italia, una delle quali è il cohousing San Giorgio in via Ravenna, una palazzina affacciata sul Po di Primaro proprio alle spalle della basilica, è nato una cinquantina di anni fa in Scandinavia. L’intento è quello di restituire un po’ l’atmosfera dei borghi, dei paesi di campagna, dove i bambini giocavano indisturbati senza però essere persi di vista dalla comunità. Ognuno a casa propria, tuttavia mai isolato, anzi confortato da una rete di relazioni su cui contare. Ai giorni nostri si cerca di ripristinare abitudini antiche in chiave moderna: abitazioni singole, costruite all’insegna del risparmio energetico con materiali ecocompatibili, spazi e servizi condivisi dalla lavanderia, alla sala da pranzo, al giardino fino al wifi. “Perché funzioni bisogna essere accomunati da un percorso, non basta avere spazi comuni per creare aggregazione tra le persone, è necessario lavorare su metodi di comunicazione diversi, regolati dal consenso – spiega – E’ inutile prendere una decisione basandosi sulla maggioranza come succede nelle riunioni di condominio, ci sarà sempre qualcuno che lamenterà di non essere stato ascoltato. Il consenso è cosa altra, si basa sul rispetto”.

Prossima al trasloco, venerdì il grande giorno, Alida Nepa è soddisfatta della scelta. “Ci trasferiremo in cinque famiglie, ci vorranno tra i due e i tre mesi. Due appartamenti restano per il momento vuoti, dobbiamo ancora decidere se affittarli o venderli – continua – In questi anni il gruppo è cambiato, le esigenze di vita hanno mischiato le carte, ma ora finalmente ci siamo”. Ma qual è l’identikit del cohouser? Ha mediamente 50 anni, ha una sensibilità ambientale, condivide medesimi valori, priorità e soprattutto ha voglia di vivere in un modo diverso, più rilassato e comunitario. “Avendo cinque figli piccoli e un lavoro, mi chiedevo come creare dei rapporti di buon vicinato, mi piaceva l’idea di alleggerire i compiti quotidiani. Nel novembre 2008, dopo un incontro pubblico sul cohousing, organizzato dallo Sportello Ecoidea della Provincia di Ferrara, a cui ha partecipato Roberta Rendina dell’associazione ‘E’-co-housing’ di Bologna, si è formato un gruppo interessato a questo genere di comunità”, spiega.

“Si trattava di di persone dell’attivissimo Gruppo ferrarese d’acquisto solidale Gas Cittànova di cui facevo parte – racconta – l’idea ha cominciato a prendere forma dal quel momento”. La spinta, come si suol dire è partita dal basso, è stata costituita una cooperativa e piano piano il progetto ha preso forma: “E’ stata una progettazione partecipata, ci siamo orientati verso la bioedilizia, privilegiando il legno come materiale principe. Non essendoci speculazione il costo sì è abbassato del 30 per cento – spiega – Devo dire che il Comune di Ferrara è il primo ad aver fatto una delibera che comprenda il cohousing, finora nessuna legge lo nomina, solo la Regione Toscana ne ha colto il valore aggiunto”.

Nessuna facilitazione, ma la certezza di aver creato il punto di partenza di un progetto importante improntato al risparmio. “Fossimo stati soli, non avremmo potuto permetterci gli accorgimenti di risparmio energetico. Avremo in comune un’asciugatrice per il bucato, macchinari per la falegnameria. Sono esempi, già il poter lasciare i cani a casa senza rinunciare a una vacanza, perché c’è chi se ne occupa, significa molto. Senza contare i gruppi d’acquisto per la spesa, il risparmio sul riscaldamento e il raffreddamento delle unità abitative. La gestione economica cambia completamente, inoltre ritengo di aver fatto un investimento che ha un valore di mercato certo”.

Il cohousing è servito. C’è voluto tempo e non sono mancati gli intoppi burocratici. “Il terreno è stato individuato nell’autunno del 2012”, spiega Anna Tambini di NL Properties, società che realizza immobili di qualità tecnologica e architettonica per migliorare la qualità della vita. “L’analisi di fattibilità economica e urbanistica così come il progetto partecipato dell’edificio sono del 2013, mentre l’appalto e l’inizio dei lavori risale al 2014 – racconta la consulente – Purtroppo ci sono stati dei rallentamenti, inizialmente la costruzione sarebbe dovuta sorgere su un altro terreno, poi le cose sono cambiante. A frenare è intervenuto il terremoto, sono mutati i regolamenti edilizi, insomma una serie di problemi oggi superati. Per quanto mi riguarda posso dire che è stata un’esperienza positiva”. La prima e speriamo non l’ultima. Sulla via di una ritrovato rapporto di buon vicinato.

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Monica Forti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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