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1° Pillola Perché dedicare attenzione a mantenere i propri dati personali privati?

L’ho capito bene ascoltando un’intervista a Julian Assange, riportata nell’interessante documentario, girato su un periodo di oltre sette anni, intitolato Hacking Justice. Questa intervista mi ha portato a consolidare una serie di riflessioni.

Nella vita quotidiana abbiamo a che fare con molte persone, di cui incontriamo fisicamente solo una piccola parte. Di queste, la stragrande maggioranza ci influenza e viene da noi influenzata attraverso comportamenti mediati da terzi.
Ad esempio, nell’acquistare un paio di scarpe presso un’azienda di acquisti online, interagisco col fattorino che recapita il pacco (mediando la transazione), ma di fatto invio il denaro al distributore online, che gestirà la divisione tra se stesso, il produttore di scarpe, il fattorino.… Di queste persone, alcune sono potenti, in termini di mezzi finanziari e di influenza, mentre altre lo sono poco o niente.

Per persone con grandi mezzi finanziari, politici  e militari, conoscere significa poter influenzare il comportamento degli altri, che venga fatto in maniera brutale o meno.

Quando esponiamo i nostri percorsi abituali e le nostre attività a persone o organizzazioni con intenzioni di questo genere, stiamo informandoli sulle zone geografiche che percorreremo. Luoghi in cui potremo facilmente essere raggiunti da azioni di influenza più o meno dirette, siano esse pubblicità, messaggi politici, o strategie basate sulla manomissione di un servizio pubblico, atte a generare delle risposte specifiche da parte nostra (e della popolazione, come ad esempio sentimenti di sfiducia).

Quando esponiamo informazioni sui nostri acquisti e attività, stiamo raccontando i nostri gusti e attitudini. Questi possono essere usati per confezionare l’esca adatta ad attirarci verso un certo modo di pensare (indurre un’idea, generare qualunquismo nei più pessimisti, radicalizzazione nei più integerrimi) o una certa attività (acquistare un bene specifico in un luogo specifico, sobillare intolleranza, aderire a un credo a partire da informazioni false o estremamente parziali).
La conoscenza delle attività che si svolge lungo la nostra rete sociale informa su come le nostre idee potrebbero essere condivise attraverso questa stessa parte di società, su chi difficilmente saremmo in grado di influenzare (in particolare chi è poco collegato alla nostra rete), su quali leve insistere per indurre, a livello sociale, la formazione di gruppi isolati e incapaci di comunicare tra loro.

Influenze come queste sono difficili, se non impossibili, da riconoscere, per via del fatto che le informazioni fornite dai singoli cittadini (spesso loro malgrado), e poi aggregate, diventano proprietà privata della piattaforma informatica che le ha raccolte. Esse possono mostrare luoghi e dinamiche sensibili di una società, da influenzare per modificarne il comportamento.

Ma solo chi vi ha accesso e sia dotato di forti capacità analitiche avrà idea di come manovrare gli altri. E si tratta, nota bene, di soggetti privati o apparati statali coperti da segreto. Per tutti gli altri, la risposta a questo fenomeno non potrà che essere quella speculativa (l’immaginazione), con il rischio di  cadere nella paranoia (ma come si fa a saperlo?), oppure si gireranno dall’altra parte.

Questo descritto è tanto uno scenario distopico, quanto una realtà attuale.
L’unico mezzo certo per limitare questa sproporzione di potere e influenza è quello di trattenere le informazioni personali per sé, evitando di condividerle con elementi sociali notoriamente interessati alla collezione di dati e dagli interessi molto diversi dai nostri.

Una delle più concise ed efficaci frasi pronunciate da Edward Snowden, all’indomani delle sue rivelazioni sullo spionaggio di massa, è “Privacy is for the powerless”. Chi ha poco potere è bene che mantenga un certo livello di privacy nei confronti di chi di potere ne ha molto. Non farlo equivale a fornire ingredienti sostanziali a chi ha già abbondanti mezzi di manipolazione sociale, che vanno sempre più prendendo il posto del sistema democratico.
Concludendo la citazione “Transparency is for the powerful”.

2° Pillola Controllare l’attività delle proprie applicazioni – Messaggeria istantanea

Tra le cose da fare per ridurre la quantità di informazioni che rilasciamo online, una cosa sana è usare software Free Licence/Open-Source, piuttosto che software a codice proprietario. Si intende, strumenti i cui codici siano verificabili dal pubblico. Ciò dà la possibilità a specialisti terzi, esterni al fornitore del software, di verificare cosa questo software farà una volta installato sul vostro telefono o computer. Per esempio verificare che esso non trasmetta dati e metadati personali, o che la cifratura per comunicare su internet non sia fallata (come è stato documentato ad es. per Whatsapp).
Un esempio nel caso della messaggeria istantanea è quello di rimpiazzare il software WhatsApp con l’analogo, ma Open Source, Signal.

3° Pillola 5 criteri da considerare per un software – Un caso sulla messaggeria istantanea

In riferimento alla sostituzione di WhatsApp con Signal (vedi Pillola 1), qualcuno si chiederà: Telegram non va bene lo stesso?
In effetti Telegram è un altro software di messaggeria istantanea, Open Source, molto diffuso.
Ci sono però almeno altri 5 elementi da considerare quando scegliamo una applicazione Open Source.

1) Sia il Client che il Server sono Free licence/Open Source?
L’applicazione che installiamo sul nostro dispositivo (computer/smartphone) si chiama Client (ovvero si comporta come un cliente). I clienti si inviano/ricevono messaggi grazie all’intermediazione di un dispositivo speciale presente in rete chiamato server (sempre a disposizione per servire i client, sempre acceso e disponibile).
Sia client che server funzionano sulla base di un software che può essere Free licence/Open Source o meno.
Nel caso di Signal sia client che server sono Open Source, nel caso di Telegram, solo il client lo è.

2) Quali metadati sono raccolti?
Nel mentre che inviamo un messaggio, il nostro dispositivo elettronico può raccogliere una serie di metadati, vale a dire informazioni del contesto come ad es. il luogo in cui ci troviamo, la durata delle comunicazioni, i contatti presenti nella nostra rubrica.…
Telegram dichiara di condividere con il suo server una quantità di metadati molto più vasta rispetto a Signal (il quale tratterrebbe sul server solo l’informazione sul fatto che vi siate connessi o meno in un determinato giorno).

3) Il codice è stato testato a dovere?
I codici di buona parte delle applicazioni usate quotidianamente sono molto lunghi. Lunghi abbastanza da richiedere anni affinché i programmatori possano verificare che il programma sia ben scritto e che possano eliminare la maggior parte o tutte le falle (bugs) di sicurezza.
Buona parte dei blocchi di codice usati da Signal è stata usata e testata ampiamente, poiché gli stessi vengono usati in diverse altre applicazioni, da un’ampia comunità informatica. Il codice di Telegram, dal suo canto, è stato sviluppato servendosi meno di blocchi già testati in precedenza dalla comunità, per cui è più impegnativo, da parte della comunità informatica, verificarne la solidità.

4) Riponiamo fiducia in chi gestisce il nostro server?
L’uso di un servizio su internet implica una serie di passaggi di informazioni. Se le informazioni vengono trasmesse dopo adeguata criptazione, sarà difficile per qualcuno che intercetti la comunicazione, capirci qualcosa. Nonostante tutto, a un certo punto di questa serie di passaggi, sarà necessario riporre fiducia nell’attività svolta da qualche operatore. Per esempio: anche se il codice del server è OpenSource, dovremmo fidarci del fatto che esso non sia stato modificato prima di installarlo sul server, oppure del fatto che il server non sia compromesso a sua volta dal punto di vista hardware. In sintesi: non può esserci certezza assoluta del fatto che tutto vada come atteso. Quello che si può fare, è cercare di capire se il fornitore del servizio è affidabile e competente.

Nel caso di Telegram, il principale finanziatore della piattaforma è un magnate russo.
Nel caso di Signal, esistono molti finanziatori della piattaforma (non saprei dirvi quali e quanti). Soprattutto, il software e la sua equipe di programmatori sono riconosciuti come affidabili da giornalisti e informatici di fama mondiale impegnati nella difesa della libertà di stampa.

5) Il nostro client ha a che fare con un server centralizzato, decentralizzato o distribuito?
Il server in attesa di servire il client che è installato sul nostro dispositivo, è lo stesso che serve anche tutti gli altri dispositivi esistenti che usano lo stesso software (si intende tutti gli altri telefoni e computers)? In questo caso si parla di server centralizzato. Se invece diversi clients sono serviti da diversi server, si parla di server distribuiti o decentralizzati. E’ chiaro che, per terzi che volessero appropriarsi di informazioni presenti o in transito su un server, riuscire a manometterne uno centralizzato può essere più fruttuoso che investirsi nella manomissione di una moltitudine di server, il cui contenuto individuale è una magra quantità di informazioni personali. Naturalmente a tal proposito rientra la fiducia che possiamo riporre in coloro che gestiscono il server (4).

Sia Telegram che Signal usano server centralizzati. Un’alternativa decentralizzata Free Licence/Open Source è la coppia Element (il client) – Matrix (il server).

Maggiori informazioni in Mini-Guida alla Protezione dei Dati Personali: https://miniguide.minifox.fr/

In copertina: Graffiti in Shoreditch, London – Zabou (Wikimedia Commons)

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Francesco Reyes


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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