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C’è sempre un grande afflusso di energia nuova nel ricominciare, una sorta di forza che alimenta speranze, aspettative, volontà progettuale, coraggio.
Nel momento in cui abbozziamo l’idea del cambiamento, abbiamo già posto il primo piede nel territorio di un nuovo divenire per lasciare definitivamente, quando giunge il momento più adatto, situazioni stagnanti e paludose che ci hanno trattenuto in esperienze di una vita che non avvertiamo come nostra, che mal sopportiamo e stentiamo a riconoscere come giusta per noi.
Ricominciare riprendendo in mano esistenze travagliate, sogni accantonati o desideri a cui abbiamo per troppo tempo messo il bavaglio, ci consente di abbandonare vecchi stereotipi che incombono come insopportabili camicie di forza, per arrivare ad un punto di non ritorno dal quale non ci si può che allontanare per abbracciare nuove prospettive ed aprirci a nuovi orizzonti. Lo sanno fin troppo bene i numerosissimi e affaccendati personaggi che sovraffollano le pagine di tre esponenti autorevoli della letteratura latinoamericana moderna: Isabel Allende (Lima, 1942), Angeles Mastretta (Puebla, Messico, 1949) e Marcela Serrano (Santiago del Cile, 1951).

Il genere umano che compare in tutta la sua rumorosità attraverso coloratissime vicende di ogni genere, sembra uscire materialmente dal romanzo con un inaspettato balzo, per aggredire energicamente il lettore allo scopo di raccontare, scuotere, far riflettere su strade diverse o destini affini ma soprattutto sulla voglia di essere protagonista del proprio esistere, sempre in bilico tra fatalismo, capacità di reazione e volontà di decidere.
Il realismo magico che influenza le narrazioni, disegna figure di uomini e donne a volte spietatamente e tragicamente ‘umani’, in altre circostanze incredibilmente ‘soprannaturali’, perennemente in balìa di destini drammatici, colpi di scena e repentini cambi d’umore narrativo che suscitano amore-odio e portano a simpatizzare o detestare senza mezzi termini. Il sogno si confonde con la realtà raccontata e la fantasia si mescola abilmente con i risvolti più crudi e realistici creando un gioco continuo di luci e ombre che spiazzano il lettore.

Il comune denominatore tra i romanzi di Isabel Allende (La casa degli spiriti; D’amore e d’ombra; Eva Luna; Il piano infinito; Inés dell’anima mia; Ritratto in seppia…), le opere di Angeles Mastretta (Puerto libre; Strappami la vita; Donne dagli occhi grandi…) e le narrazioni di Marcela Serrano (L’albergo delle donne tristi; Antigua, vita mia; Nostra Signora della Solitudine; Adorabile nemica mia; Dieci donne…), è un sottile fil rouge che parla di cambiamento, desiderio di riscatto, trasformazione e scoperta di ciò che è il potenziale autentico in ciascuno. Lo stesso filo capace di legare mondi interiori: la forza del ridere insieme, il valore dell’amicizia, l’amore, il sesso, oppure la delusione nelle relazioni sterili, l’ipocrisia, la solitudine, il timore dell’abbandono. Nella narrazione di queste scrittrici, gli individui riescono spesso a trovare senso, significato e spinta ad un nuovo inizio, in situazioni estreme come un golpe che stravolge la vita di un Paese, la morte di un figlio, le regole ataviche che condizionano pesantemente i rapporti umani come una catena, gli ambienti naturali avversi, i destini apparentemente già segnati che non lasciano scampo. Ma alla fine, troviamo sempre un unico grande progetto di modificazione e trasformazione per uscire dal bozzolo delle esistenze a metà.
“E’ vero, erano passati dieci anni ed eravamo ancora là, tutte e quattro, sempre noi quattro. Più grandi, più vecchie, più ferite, più sagge. E il lago, a farci da testimone. Di cosa? Non lo so… Di tutto. Racconti, discussioni, lacrime, risa. Chiusure di porte…” (da “L’albergo delle donne tristi”).
Si riparte quindi da una porta chiusa al di là della quale c’è il non conosciuto, la svolta, il vero autentico cambiamento.
O, come direbbe un inconfondibile autore caro a tutti noi, Paulo Coelho: “Sii come la fonte che trabocca e non come la cisterna che racchiude sempre la stessa acqua.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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