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Studentessa universitaria e collaboratrice di Ferraraitalia, Silvia Malacarne traccia un personale identikit della sua generazione che definisce impaurita e inerte. Rivolge ai suoi coetanei un’esortazione a uscire dalla passività e contrastare la rassegnazione. Lo pubblichiamo con l’intento di aprire un dibattito sul tema: invitiamo altri giovani a intervenire ed esprimere la propria opinione.

Sembrano pieni di sé, tanti ostentano sicurezza, appaiono sfrontati, presuntuosi, a volte arroganti. Ma in realtà, dietro questa facciata, molti giovani cercano solo di nascondere le loro paure. Si vestono allo stesso modo, si fanno lo stesso taglio di capelli e si adeguano alle stesse tendenze; le mode sono sempre state seguite, ma per omologarsi ai propri idoli, i giovani rischiano di annullare la propria personalità. Rischiano, o forse vogliono. Perché il diverso fa paura; distinguersi, emergere, non sembra interessare alle nuove generazioni che si rassicurano confondendosi fra una massa di coetanei tali e quali a loro.
Se l’aspetto esteriore tende a uniformarsi, anche le idee finiscono per convergere tutte nella stessa direzione, perché circondarsi di persone che la pensano come noi è confortante, genera equilibrio e sicurezza. Di conseguenza, chiunque abbia un modo diverso di vedere la realtà, viene guardato con sospetto. Chi fa sentire una propria voce originale, o viene messo a tacere o resta isolato. E il conformismo conduce all’immobilismo: uno dei motivi per cui le cose nel nostro Paese non cambiano.

Non mi riferisco solamente alla situazione politica ed economica di cui oggi si parla tanto in Italia, ma a realtá più circoscritte, contesti in cui cambiare la realtá delle cose sarebbe molto piu facile. Quante volte all’interno delle diverse universitá si sentono studenti scontenti dei propri professori? I ragazzi parlano tra di loro, si lamentano, si arrabbiano, ma non muovono un dito. Cercano qualcuno che abbia il coraggio di esporsi, ma come detto, esporsi, attirare l’attenzione su se stessi, spaventa.
Si teme di venir presi di mira, si ha paura di avere ripercussioni agli esami, di venir giudicati. Certo è che con una mentalità di questo tipo non si va da nessuna parte.

La parola chiave per vincere questa inerzia credo sia “reazione”. Dobbiamo smetterla di essere passivi, smetterla di subire, smetterla di accettare ció che consideriamo sbagliato e ingiusto. Sono certa di non essere l’unica a pensarla in questo modo, ma una voce isolata, resta una voce inascoltata.
Oggi è normale avere paura, tutti ne abbiamo; è giusto avere paura quando lo Stato si dimentica dei diritti dei propri cittadini e non fa che ricordar loro, giorno dopo giorno, gli infiniti doveri che hanno. È giusto arrabbiarsi quando un professore ti boccia all’esame solamente perchè la sera prima il Napoli ha perso e lui ha deciso che quel giorno nessuno deve essere promosso; è giusto infuriarsi quando Equitalia ti spedisce a casa una multa (5 anni dopo il dovuto) relativa a un ticket sanitario non pagato, nonostante quella visita non sia mai stata effettuata; è normale perdere le staffe quando un poliziotto ti fa una multa per una luce dell’auto appena rotta: non importa se non hai avuto tempo o se non hai le competenze adatte, dovevi avere la lampadina di riserva in macchina ed essere in grado di sostituirla da solo. È giusto reagire quando sei costretto a pagare tasse inutili su beni di tua proprietá che però da anni non fruttano. Bisogna reagire quando ci si rende conto che chi ha la spalle larghe, ha le spalle coperte ed è libero di fare tutto ciò che vuole senza incorrere in nessuna sanzione, senza dover fronteggiare nessuna conseguenza negativa, mentre il cittadino medio, quello che ha sempre fatto il suo dovere, al primo errore viene tartassato dallo Stato.

Quando ci si ritrova a vivere in una realtá come questa, in cui la privacy non esiste più, dove siamo controllati in tutto ciò che facciamo, avere paura è lecito. Ma se la paura frena l’uomo, questo si annichilisce, si lascia rigirare in ogni modo, subisce passivamente.
Il problema è che se iniziamo a farci trattare così giá da quando siamo giovani, non abbiamo molte speranze di cambiare le cose nel futuro.
Oggi che molti dei valori più puri sono stati travolti e stravolti, abbiamo bisogno della speranza. La paura non serve a nulla, la rassegnazione ci trascinerá verso il fondo, sempre che un fondo non lo abbiamo giá toccato. Bisogna reagire e bisogna farlo ora.

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Silvia Malacarne


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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