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da Giovanni Scardovi*

Gentile Direttore,
Continua il processo di desertificazione dei centri storici, favorito dalle politiche delle amministrazioni comunali. Questa volta è il turno della fascinosa e magica Ferrara che tanto amo a dare segni di sofferenza. Con il decentramento di mercati e mercatini si avanza verso lo svuotamento delle piazze del centro, ma questo non è il vuoto metafisico delle piazze di De Chirico, cantore della solitudine, del silenzio e delle ombre, di portici e manichini sospesi nell’atemporalità delle sue muse inquietanti.
Il senso della decisione politica ci deposita nel grande obitorio della contemporaneità, dove gli amministratori operano per favorire l’abbandono di piccole imprese, mercatini e botteghe, laboratori perché tutto venga collocato, se va bene, appena fuori dalla vista dei sofisticati amministratori e dei loro ‘parvenu’ o nei “non luoghi” dei centri commerciali, lontano dal centro storico, del tutto simili a cattedrali nel deserto del mercatismo globale e totalitario. Così il centro della città, un tempo luogo d’incontro vitale, assume oggi la cimiterialità dell’abbandono snaturandone la vita e dando l’opportunità al visitatore di una celebrazione funeraria delle architetture vissute come reperti. Esattamente il contrario di quanto avveniva all’epoca del costruire rinascimentale di cui si beiamo (?) quotidianamente. Allora la città sapeva far convivere le attività del quotidiano, la miseria e la ricchezza, l’amore e l’odio con la bellezza; oggi la si museifica lasciando come unici abitanti del fu cuore cittadino il rumore dei nostri passi.

* Scultore, pittore, poeta – Docente all’Accademia di Belle Arti di Venezia prima e a quella di Bologna poi. Vive a Cotignola di Ravenna. Frequenta da decenni Ferrara e gli artisti che in essa vivono o hanno vissuto.

Gentile professor Scardovi,
in realtà il Comune non intende trasferire dal centro i mercatini (quelli resteranno giustamente al loro posto), ma ha annunciato di voler trasferire da febbraio 2016 solo una parte degli ambulanti del mercato dell’abbigliamento che si tiene il venerdì, quelli che utilizzano i furgoni (antiestetici, inquinanti, ingombranti). Gli altri potranno restare. Condivido il suo allarme circa il rischio di museificazione del centro, ma personalmente ritengo non sia mantenendo il mercato che si realizza l’obiettivo. Vanno promosse iniziative, come in parte già avviene, avendo certo considerazione – come lei giustamente sottolinea – ugualmente per la cultura alta e per quella popolare. Ma del mercato accanto a castello e duomo penso si possa fare a meno

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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