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Pochi giorni fa i giornali riportavano i dati relativi a un triste fenomeno che investe l’Italia: l’aumento della mortalità dell’11% nel corso del 2015, un incremento che non si vedeva da decenni. Fenomeni analoghi si sono verificati nel nostro paese solo nel 1943 e, prima ancora, nel periodo tra il 1915 e il 1918.
Gli esperti si interrogano: ci ammaliamo di più o ci curiamo peggio? La domanda probabilmente è errata. L’agenzia sanitaria delle Regioni sta indagando, raccogliendo i dati per regioni e ospedali, ma rischia di indagare nella direzione sbagliata. I demografi fanno riferimento al fatto che l’Italia è un paese di anziani che avrebbero sofferto i tagli del welfare, mentre il riferimento alla crisi economica e alla perdita del lavoro sarebbe facile, ma probabilmente non chiarificatore.
Un indizio ben più interessante per ragionare ci viene da Angus Deaton, che da anni studia il tema delle diseguaglianze misurandole con criteri che non fanno riferimento solo reddito, ma al benessere e alle attese di vita delle persone. Il suo libro è stato pubblicato in Italia con il suggestivo titolo “La grande fuga”, a segnalare il processo messo in atto nei secoli dagli individui per uscire dalla prigione della povertà.

Tornando alla spiegazione di questo improvviso aumento della mortalità in Italia, Deaton ha proposto già da alcuni mesi il tema analizzando un fenomeno analogamente inquietante in atto in America. Il tasso di mortalità degli adulti di 45-54 anni appare in costante crescita dal 1998. Un’epidemia insolita, apparentemente inspiegabile: riguarda quasi esclusivamente i bianchi (la mortalità di altri gruppi afro-americani e ispanici ha continuato a scendere), non ha tra le cause le malattie di solito chiamate in causa (cancro ai polmoni, malattie cardiache, diabete), tutte in riduzione o costanti. Né le cause rinviano a omicidi o incidenti automobilistici, entrambi in diminuzione. La causa pare essere l’intossicazione involontaria da farmaci, oltre a quella volontaria da droghe o alcool. Segue il suicidio e, tra le malattie, la cirrosi. Come afferma Deaton, è come se un’epidemia di disperazione avesse colpito gli americani di mezza età.

Deaton offre qualche indizio per comprendere: quasi tutte le morti sono di persone con livelli d’istruzione bassi, che vivono in aree rurali depresse, persone con cattive prospettive economiche e, soprattutto, senza radicamento. In un contesto povero di risorse personali e di legami interviene la pubblicità aggressiva dell’industria farmaceutica, che propone anche alla tv pubblicità di farmaci oppiacei e analgesici in grado di alleviare il dolore di vivere, inducendo però dipendenza. Si sta profilando una nuova epidemia, legata alla rarefazione dei legami sociali, alla povertà di risorse e all’uso indiscriminato di farmaci per combattere il dolore e la disperazione. Si conferma che la densità di legami di cui una comunità gode mantiene un’importanza primaria per il benessere degli individui. Ovviamente i legami che si creano in rete non sostituiscono quelli reali e l’accesso ai dispositivi elettronici rappresenta una ricchezza solo se è supportato da radicamenti e capacità individuali solide.
Queste note hanno implicazioni talmente ampie che vanno ben oltre lo spazio di questo appunto. certo, si tratta di ragionare sui dati con uno sguardo che consenta di interpretarli.

Maura Franchi è laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei consumi presso il Dipartimento di Economia. Studia le scelte di consumo e i mutamenti sociali indotti dalla rete nello spazio pubblico e nella vita quotidiana.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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