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Da: Associazione “Gruppo del Tasso”

Venerdì 30 Novembre a Ferrara

Nel dialogo le parole passano liberamente, si muovono nello spazio tra le frasi e le persone. Il punto e virgola, così raro e incompreso, è il segno che identifica quella piccola zona sospesa, abbastanza decisa da non confondere i simili e cortese quanto basta per non staccare di netto nemmeno gli opposti.

Le giornate di Punto e Virgola; festival delle parole vere e dei racconti belli stanno dentro quella pausa e invitano a riflettere su ciò che ci sta intorno e sulle parole scelte con una cura che sa di onestà e responsabilità. Da domani, venerdì 30 novembre a domenica 2 dicembre, l’associazione Gruppo del Tasso si mette in gioco con tutta la città e con un festival che invita tutti a prendere coscienza del peso di ogni discorso pubblico o privato, e chiama ciascuno, soprattutto i non specialisti, a raccontare e raccontarsi. Per creare strade alternative e soprattutto autentiche, vie che si possano percorrere con la coerenza dovuta a ogni cosa riguardi la vita sociale, dalle imprese minime al governo di un paese.

Quando le parole inquinano

Lorenzo Guadagnucci nel 2009 ha scritto Parole Sporche (Altreconomia) in coincidenza con la nascita di un piccolo gruppo di Giornalisti contro il razzismo, in un momento in cui si è assistito a ripetute campagne mediatiche contro minoranze e immigrati.

«Si è partiti da un documento in cui i giornalisti invitavano i colleghi a moderare i toni – esordisce l’autore – a non farsi trascinare in campagne strumentali per rispettare tutti i gruppi. Il passaggio successivo è stato quello di decidere di fare qualcosa in positivo. La nostra idea era quella di partire dalle parole, dandoci una sorta di autodisciplina. Ci siamo detti: esistono alcune parole che vengono utilizzate male, proviamo a non usarle, e già questo migliora la qualità dell’informazione. Da lì si è avviato un ragionamento sull’uso strumentale dei fenomeni migratori, una situazione rispetto a cui i media sembravano impreparati. Le parole che “inquinano” i discorsi non sono da usare, non è professionale, usiamone altre». Come la parola “tortura” da applicare alla morte di Federico Adrovandi: «Sulla base delle violazioni di massa dei diritti civili accertate nei fatti del G8 di Genova – incalza – non mi sono affatto stupito, ad esempio, di fronte all’ovazione tributata dal sindacato Sap a tre degli agenti condannati per la morte di Federico. Non mi sono stupito, perché la protervia manifestata da quegli agenti, il loro rifiuto del verdetto dei tribunali, la loro indifferenza per il dolore della famiglia, la viltà che un gesto del genere porta allo scoperto, vengono da lontano, e potrei dire anzi che vengono dall’alto».

Alle 18, di venerdì 30, alla Feltrinelli di via Garibaldi Alessio Oreste Falconio, direttore di Radio Radicale, dialogherà di questi temi con Guadagnucci, il quare ha firmato numerosi altri libri, tra cui Noi della Diaz, ristampato nel 2008. Fra i fondatori e animatori del “Comitato Verità e Giustizia per Genova” e del gruppo “Giornalisti contro il razzismo”, nel 2016 ha pubblicato Era un giorno qualsiasi, racconto familiare della strage nazista di Sant’Anna di Stazzema, dalla quale il padre dell’autore si salvò solo per caso.

«Di Parole sporche – conclude – oggi ce ne sarebbero da aggiungere altre: sono successe diverse cose, nel frattempo, già l’approvazione della Carta di Roma dà altre indicazioni ed è un documento deontologico dell’Ordine nazionale del giornalisti. Rimangono valide le parole di allora: termini come “clandestino” sono nuovamente esplosi, in coincidenza con l’uso smisurato che ne viene fatto dai politici. Un altro termine che all’epoca non era così evidente è “invasione”: una parola presa pari pari dal gergo militare, la principale definizione riguarda l’esercito e i nemici, e va a descrivere un fenomeno che ha tutt’altre caratteristiche, è un fenomeno sociale. Un’altra espressione a mio avviso usata in maniera volutamente allusiva è “trafficanti di uomini”: non è sbagliata, perché chi organizza i trasporti con i cosiddetti “barconi”, fa effettivamente quello, però, viene usata in modo ambiguo, perché rimanda a un accostamento con il trasporto degli schiavi, come se le persone fossero prelevati e portati a forza. Chi sale sulle barche lo fa volontariamente. Il fine è quello di invertire causa – effetto: i trafficanti esistono non perché ci sia il prelievo di persone e la loro cattura, ma perché non esistono mezzi legali di ingresso in Europa, complice la legislazione proibizionista che permette l’esistenza di questo business». Il giornalista dovrebbe avere la funzione di smascherare ogni dinamica di ipocrisia linguistica.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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