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di Cristiano Mazzoni

Breve riflessione sul valore e sull’attualità dell’essere partigiani nel buio mondo di oggi.
In memoria del comandante Eros, morto in questi giorni.

Quando muore un partigiano il mondo diventa un posto peggiore.
A poco alla volta il tempo fa il suo corso, erode lo spirito, la speranza, la forza di chi ha combattuto per la libertà.
Una libertà, che ora in tanti, non sanno più come utilizzare.
Erano giovani i partigiani, battuti e sconfitti ancor prima di combattere. Il popolo piangeva e mugugnava, ma solo loro ebbero il coraggio di prendere le armi ed andare in montagna, nelle valli, nelle città. Ogni landa poteva contare su un manipolo di eroi, che non sapevano neppure di esserlo. Lottavano per amore. Amore per la vita, amore per la madre, la moglie, il marito, i figli. Donne, uomini e ragazzi, diedero la vita, senza chiedere nulla in cambio.
Perché?
Perchè il mondo è di tutti, perché non c’è libertà che imponga l’oppressione di un altro, perché nessuno è libero se anche una sola persona è in catene (cit.). Esisteva solo il noi, la vita personale era sacrificabile, i sogni e le speranze, no. Troppi anni sono passati, troppo fango li ha sepolti, troppe parole hanno cercato di omologare i morti. Tutti uguali.
No.
Esisteva una parte giusta ed una sbagliata, esistevano gli oppressi e gli oppressori, esistevano i partigiani ed i fascisti, era la guerra civile, causata dal dittatore, a terra rimasero i morti, in cielo volarono i sogni.
No, non furono tutti uguali.
I morti.

Quando muore un partigiano, muore la memoria, muore la storia vissuta con un fazzoletto rosso al collo.
Antonio odiava gli indifferenti, parteggiava, ed io forse faccio troppo poco. Mi nascondo tra le pieghe della frenesia della vita, come tutti, rincorro il tempo, senza lasciare traccia e forse si, Antonio un po’, mi odierebbe.
Le lapidi che nessuno legge più, gli alberi che hanno accolto i figli appesi al vento, forse ora sono diventati legna da ardere, solo fumo e cenere. Le fiamme dei paesi bruciati, i muri resi in briciole, sono stati ricostruiti con faccia a vista, la caligine è annegata nelle lacrime dell’oblio.
I partigiani erano perlopiù povera gente e il loro nemico portava stivali lucidi e mostrine d’argento. Hanno combattuto, in pochi contro il passo dell’oca, che risuonava lugubre per le vie di tutta Europa.
Ora chi prenderà il loro posto?
Viviamo in un mondo dove i nemici ci servono, vengono costruiti, vengono indicati dai potenti, per asciugare la bava alla bocca dell’egoismo e del prima noi. Il nemico è chi ci sfrutta, non gli sfruttati. Come è stato possibile, che nel corso di poche generazioni, ci siamo dimenticati di voi. Saccenti e acculturati ci spingono a credere che tutto sia passato, che i valori della vostra battaglia siano superati, siano anacronistici: “il fascismo non esiste” è il modo migliore per dimostrarne la sua esistenza.
La memoria, lo studio, i libri sono un isola, galleggiante in un mare di banalità, di pensiero comune, di superficialità. La stupidità ci attanaglia, giudichiamo il mondo dal nostro cortile di casa, cerchiamo ancora, dopo un secolo di sangue, l’uomo forte, il pelato con gli stivali.
I libri uccidono il potere, il potere odia i libri, il potere odia i liberi.
Il pensiero e l’intelletto, sono l’unica arma che abbiamo per poter continuare la battaglia che fu dei partigiani, ribelliamoci, ogn’uno con quello che ha, ogn’uno come può, destiamoci dal torpore e dalla sonnolenza a cui hanno relegato.
Quando muore un partigiano, muore la libertà.
Quando l’ultimo dei partigiani abbandonerà questo mondo, chi rialzerà da terra la sua bandiera?
Non mi interessa di essere l’essere moderno, la moderazione, il riformismo, non sono il mio vessillo. Il mio colore è il rosso.
Quando muore un partigiano occorre alzare il pugno al cielo e salutarlo, promettendogli di innaffiare e curare per sempre il suo fiore. Perché ogni partigiano è morto per la libertà. E noi dobbiamo esserne degni.

Torna a casa il fiero partigian.

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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