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La odierna sovra esposizione mediatica della scuola, a cui stiamo assistendo dalla chiusura degli istituti scolastici  a causa della pandemia, mette in scena paradossalmente la sua marginalità. Le reale ragione del profondo malessere del nostro sistema di istruzione che oramai da decenni vede la scuola italiana in caduta libera verso gli ultimi posti di tutte le classificazioni che la riguardano, pare non essere nemmeno lontanamente al centro dell’informazione ma neppure delle preoccupazioni della politica, e anche delle famiglie e degli studenti .

Ma prima desidero sgombrare il campo da spiacevoli fraintendimenti.

Il problema delle modalità della riapertura delle scuole a settembre è, ovviamente e veramente una grande incognita, e tutti gli sforzi che ad ogni livello si stanno compiendo in questi mesi ,devono essere al centro della condivisione e collaborazione di tutti, al fine di poter inventare soluzioni in grado di coniugare il diritto allo studio con  la sicurezza di operatori e utenti. Ogni tentativo di sminuire il raggiungimento di  tale obiettivo è  colpevolmente deresponsabilizzante e qualifica in modo del tutto negativo chi lo promuove
L’operazione che a mio avviso però non è accettabile è quella di utilizzare l’emergenza per coprire o mascherare la progressiva perdita del senso profondo di cui è vittima la  Scuola nella nostra società.

Non è questa la sede per sviluppare una analisi seria di tutti i provvedimenti che hanno portato il nostro sistema di istruzione a essere quello che è. Desidererei invece partire dalla condivisione di una affermazione che metterei all’inizio di questo ragionamento: la Scuola è disinteresse allo stato puro o non è.
Questo non significa riproporre un nostalgico  richiamo agli otia studiorum dell’epoca antica, ma al fatto che la Scuola dovrebbe essere per tutti una sorta di grande laboratorio dove si sperimenta la possibilità di percorrere le strade della Vita. non solo con i piedi, ma soprattutto con la testa.

E’ a Scuola infatti che si apprende sostanzialmente una conoscenza esterna finalizzata alla crescita interiore, alla formazione dei ragazzi, dove il suo messaggio fondamentale possiamo sintetizzarlo nel fatto che per Fare bisogna Essere, e non il contrario!
Quello che conta nella Scuola è la soggettività umana, l’attenzione educativa dovuta ad ogni ragazzo, che certo dovrà produrre prestazioni, acquisendo competenze valutabili e quantificabili ma in relazione allo sviluppo dell’essere di ognuno.

Come giustamente ha più volte osservato Umberto Galimberti, il problema oggi invece è che l’attenzione del processo educativo si è spostato dal “fammi vedere chi sei” al “fammi vedere cosa sai fare”, con tutto quello che ne consegue. Il risultato sono i nostri giovani della cui condotta non c’è genitore o insegnante che non si lamenti. (U. Galimberti Che ne è della nostra cultura umanistica in D la Repubblica 1/12/2018)

Attenzione,  non facciamoci poi abbindolare da spiegazioni semplificatrici sul fallimento educativo della scuola di oggi, fallimento che da più parti sentiamo imputato alla mancanza della disciplina e del rigore o al rimpianto di una scuola selettiva o di ’quel professore così severo che però la matematica me l’ha fatta imparare!’.

La scuola un tempo era certamente più selettiva, ma perché era classista.
Vogliamo legare il futuro di nostro figlio alla fortuna della nascita in una famiglia con possibilità economiche o piuttosto alla possibilità per tutti di trovare a scuola il riconoscimento delle specifiche capacità?

E per ciò che riguarda il richiamo alla severità del passato, dobbiamo riconoscere che è vero, sotto la pressione della paura posso anche imparare delle nozioni, ma certamente non riceverò quella educazione che nel tempo può portare a far si che non cresciamo come dei legni storti, per dirla con Kant!
Senza contare poi tutti quelli che dalla paura sono stati per nulla stimolati ma schiacciati e annientati!

A Scuola non si produce addestramento ma educazione e formazione.
Questa Scuola allora è quella che vuole affiancare i ragazzi nello svolgimento della loro storia, perché la Scuola svolge una grande narrazione, quella della vita. Il linguaggio che utilizza e insegna  è quello esclusivamente umano della lingua parlata e di quella scritta, gli altri sono importanti supporti.

La nostra esistenza è racchiusa tra due punti: quello della nascita e quello della morte. Tra questi due punti si sviluppa il percorso dell’ esistenza ed è in questo percorso che costruiamo la nostra identità.
La Scuola ci conduce in questa avventura attraverso molteplici strumenti, tra cui sicuramente la narrativa deve continuare ad avere un posto fondamentale. La possibilità di vivere diverse vite con la fantasia apre ai ragazzi il mistero della esistenza in tutte le sue variegate dimensioni, incarnate nelle storie dei personaggi narrati: l’amore, l’odio, la gelosia, l’astuzia…Ed ecco che nella possibilità di vivere più di una vita possiamo affrontare anche le nostre paure profonde, di cui quella della morte è la principale..

Studi recenti  dimostrano la forte correlazione tra il grado di empatia delle persone e la loro abitudine alla lettura e scrittura.
Non è una risposta formidabile questa ai nostri dubbi sui ragazzi di oggi, sulla  reale capacità di conoscere se stessi, sulla loro capacità di affrontare il dolore, sulle possibilità di amare l’altro da sé e il diverso, del prendersi cura? Insomma di vivere in modo disinteressato, cioè senza un interesse narcisistico da perseguire, ma di poter sperimentare una vita piena di interessi e, se vogliamo dirla con Lacan, di desideri.

Purtroppo da un lato l’interesse principale delle nostre comunità non sta andando in questa direzione e dall’altro la scuola sembra interessare sempre meno chi la frequenta, in questo caso a motivo dei grandi dissuasori comunicativi che la società degli adulti mette loro a disposizione sin dalla più tenera età.

Concludo con un richiamo al pensiero di Emmanuel Levinas tratto  da Etica e Infinito, che mi pare possa essere utilizzato per iniziare un ripensamento sulle reali motivazioni della crisi della nostra scuola. Scrive Levinas:
“Penso che nella grande paura del libresco manchi il riferimento ontologico dell’umano al libro, il quale viene spesso ridotto ad una fonte di informazioni o ad un utensile della conoscenza, ad un manuale, mentre è una modalità del nostro essere”.

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Roberto Paltrinieri


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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