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Querida Amazonia (Cara Amazzonia, QA) è il titolo dell’Esortazione Apostolica firmata da papa Francesco e datata 2 febbraio.È il documento pontificio attesissimo, dopo il Sinodo dei vescovi svoltosi a Roma fra il 6 e il 27 ottobre 2019. Attesissimo perché il Documento Finale dell’Assemblea Sinodale (DFAS), intitolato “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”, ha attirato una forte attenzione mediatica, e non solo.
In particolare, il dito è stato puntato da molti sul punto n.111 del documento, dove viene messa nero su bianco la possibilità di ammettere al sacerdozio i diaconi sposati (viri probati) e le donne al diaconato.
Un’istanza motivata dalle specifiche esigenze pastorali del vasto contesto amazzonico in relazione alla celebrazione dei sacramenti (e segnatamente l’eucaristia), a causa della scarsità di preti.
Però, se si legge per intero l’Esortazione pontificia, non si trova alcun accenno alla questione sollevata.
A caldo, si è detto e scritto di una brusca e, per certi versi, inattesa frenata di papa Bergoglio.
È principalmente dagli ambienti progressisti che si fatica a nascondere una certa delusione per un passo in avanti che, questa la lettura, il papa non si sarebbe sentito di fare.
Lo storico Daniele Menozzi, per esempio, in un’intervista a Il manifesto (13 febbraio) ha dichiarato: “Il papa prende atto che in questo momento gli equilibri ecclesiali non consentono di realizzare i mutamenti che gli hanno chiesto i settori ecclesiali cui pure si mostra simpatetico”. “Probabilmente – continua – è la costatazione del limite invalicabile cui è giunto il suo governo e un passaggio di consegne al successore”.
Dunque, i motivi di questo stop parrebbero due.
Da una parte, disinnescare il pericolo scisma, parola che durante l’attuale pontificato sta serpeggiando insistentemente, alla luce della distanza crescente fra l’esigenza di riforme impressa dal papa venuto dalla fine del mondo e il fronte tradizionalista, irrigidito sul pericolo di indebolire i punti fermi di una tradizione secolare che ha sorretto l’unità della Chiesa di Roma.
Dall’altra, la consapevolezza del pontefice che realizzerebbe di avere di fronte a sé un orizzonte temporale non sufficientemente lungo, per continuare il proprio cammino riformatore.
Eppure le reazioni a caldo non sembrerebbero esaurire le possibili letture di Querida Amazonia.
Non sono in pochi a valutare il peso tutt’altro che trascurabile dei primi paragrafi dell’Esortazione. Vale la pena ripercorrerli.
Al n. 2, con riferimento al Documento Finale dell’Assemblea Sinodale (di seguito DFAS), si legge testualmente: “Non intendo né sostituirlo né ripeterlo”.
Al n. 3 Bergoglio aggiunge: “Nello stesso tempo voglio presentare ufficialmente quel documento”.
Infine, al n. 4: “[…] che tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare da questo lavoro, che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli si impegnino nella sua applicazione”.
Finora è successo che i documenti finali dei Sinodi lasciassero il posto ai pronunciamenti definitivi del papa sulle questioni sollevate. Tanto è vero che, in gergo ecclesiastico, sono stati chiamati “documenti sacrificali”.
Così non è successo con Querida Amazonia, che fin dal suo esordio, apre una strada ecclesiale del tutto inedita e per certi versi spiazzante.
Per questo, forse, se i progressisti non festeggiano, nemmeno tradizionalisti e ultraconservatori stanno stappando bottiglie di spumante.
Per prima cosa il DFAS rimane vivo anche dopo la parola del papa.
Novità assoluta, a quanto pare, che durante la conferenza stampa di presentazione di QA, ha fatto dire al segretario speciale del Sinodo, il cardinale gesuita Michael Czesny, che in questo modo ci sono due documenti e quello sinodale mantiene “una certa autorità morale”.
Compreso, dunque, il n. 111, verrebbe da dire.
Stessa cosa dice Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica: “L’Esortazione non supera il Documento finale”.
Si potrebbe aprire una parentesi commentando che solo i gesuiti, per formazione e prassi secolare, riescono a trasformare un pertugio in un’autostrada a otto corsie.
In secondo luogo, è rimasto deluso anche chi si aspettava definizioni, dottrina e soluzioni, nella più ortodossa tradizione ex cathedra, da un papa che fin dalla sua prima Esortazione (Evangelii Gaudium, 2013) ha detto, invece, di voler innescare processi, più che dare risposte e che il tempo è superiore allo spazio.
Un incedere che, coerentemente declinato alla circostanza, sembra voler dire che se la Chiesa deve essere sinodale, allora lo sia fino in fondo, senza più definizioni e formule calate gerarchicamente dall’alto, perché vanno cercate e trovate insieme.
Anche il fatto che Querida Amazonia sia stata presentata dalla basilica di San Giovanni in Laterano, sede episcopale del papa, anziché da San Pietro, non sarebbe un caso.
Pare anche smentita la tesi secondo la quale è andato a bersaglio il libro del cardinale Sarah Dal profondo dei nostri cuori, con un contributo di Joseph Ratzinger (papa emerito), pubblicato con tempistica sospetta per blindare il sacerdozio celibatario e prevenire eventuali fughe in avanti. [sulla vicenda vedi qui mio articolo precedente] Iniziativa editoriale che in realtà, così trapela dalla Santa Sede, non avrebbe influito sulla ‘frenata’ di Bergoglio, perché QA sarebbe stata pronta già a dicembre.
Stando così le cose, restano comunque in sospeso diverse questioni: dalla (possibile?) inaugurazione di una vera e propria svolta nella gerarchia delle fonti ecclesiali, fino al fatto che, com’è stato detto, “Roma non locuta, causa non finita”, con tutte le conseguenze del caso.
Se, da un lato, la strada aperta da Bergoglio prefigura uno stile sinodale da percorrere fino in fondo in modo non più gerarchico ma comunitario, dall’altro c’è chi fa presente il rischio che manchi una direzione di marcia.
A luci, ombre, punti interrogativi e letture diverse, rispetto a un documento che si presenta come una lettera affettuosa (Cara Amazzonia) piuttosto che un insegnamento calato dalla cattedra, si aggiungono poi le perplessità di esperti che rilevano la debolezza teologica di alcuni passaggi: dalle porte chiuse al sacerdozio femminile, per non ‘clericalizzare’ le donne, fino alla correlazione degli uomini a Cristo e delle donne a Maria (100-103).
Una cosa è certa: papa Bergoglio sembra proprio destinato a tenersi alla larga dalle secche dell’indifferenza.

 

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Francesco Lavezzi

Laurea in Scienze politiche all’Università di Bologna, insegna Sociologia della religione all’Istituto di scienze religiose di Ferrara. Giornalista pubblicista, attualmente lavora all’ufficio stampa della Provincia di Ferrara. Pubblicazioni recenti: “La partecipazione di mons. Natale Mosconi al Concilio Vaticano II” (Ferrara 2013) e “Pepito Sbazzeguti. Cronache semiserie dei nostri tempi” (Ferrara 2013).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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