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D’estate si leggono di solito romanzi e racconti, difficilmente si legge di racconti e di romanzi.
In epoca di digital literacy mantenere il culto del libro non è cosa da poco, perché tra i diversi strumenti dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, il libro.
Credo però che si debba diffidare di quanti accumulano letture, come se la cultura derivasse unicamente dalla loro somma, pensando che romanzi, racconti o poesie, per il solo fatto di essere stati stampati e acquisiti dalle biblioteche, abbiano valore in sé e in quanto opere della fantasia.
No. Ogni libro ha una storia di circostanze e di ragioni. Quando si parla dei grandi classici, anche le analisi stilistiche più raffinate restano sterili esercizi accademici, se ignorano quanto indusse un Virgilio o uno Shakespeare o un Cervantes a scrivere quello che hanno scritto.
Ecco perché leggere di romanzi e di racconti ha un valore formativo, che va ben oltre le liste di volumi assegnati al termine delle scuole dagli insegnanti agli studenti per le vacanze o a quegli sterili resoconti letterari che con diligenza routinaria i candidati portano ai nostri esami di stato.
Magnifiche lezioni sul libro ci hanno lasciato i Borges oral, cinque conferenze tenute all’Università di Belgrano; le Lezioni americane: sei proposte per il prossimo millennio di Italo Calvino; le Lezioni di letteratura di Nabokov; Sei passeggiate nei boschi narrativi, le Norton Lectures 1992-1993 tenute da Umberto Eco all’Università di Harvard.
Ora Einaudi pubblica Lezioni di letteratura, di Julio Cortázar. Tredici ore di lezioni che l’autore di Storie di Cronopios e di Famas tenne a Berkeley nell’ottobre e novembre del 1980. Lezioni rivolte ad un uditorio di giovani studenti con lo scopo preciso di aiutarli a diventare o a scoprirsi buoni lettori.
Cortázar espone un’idea di letteratura che non è quella scolastica, un’idea di letteratura come impegno civile, non la letteratura dell’arte per l’arte, ma quella espressa da una nuova generazione di scrittori coinvolti nelle lotte, nelle discussioni, nella crisi del loro popolo e dei popoli nel loro insieme. L’impegno per una scrittura strettamente legata e partecipe del quotidiano che bussa alla porta, il lavoro non dello scrittore latinoamericano, ma di un latinoamericano scrittore come Cortázar rivendica di voler essere.
Le sue non sono lezioni cattedratiche: Cortázar porta avanti con gli studenti un vero e proprio dialogo sulla letteratura.
I temi trattati sono molti, le caratteristiche del racconto fantastico; la musicalità, lo humour, l’erotismo e il gioco in letteratura; il rapporto tra immaginazione e realismo, la letteratura d’impegno sociale e le trappole del linguaggio, e tutti vengono affrontati con un approccio concreto, che sempre trova un punto d’appoggio in letture ed esempi che appartengono non solo alla letteratura, ma alla produzione culturale di ogni epoca. E le lezioni diventano ancor più interessanti quando Cortázar racconta l’evoluzione del suo percorso di scrittore: come nacquero i cronopios o alcuni dei suoi celebri racconti; il significato di Rajuela e il suo processo di scrittura.
«Tra i diversi strumenti dell’uomo, il più stupefacente è, senza dubbio, il libro. Gli altri sono estensioni del suo corpo. Il microscopio, il telescopio, sono estensioni della sua vista; il telefono è estensione della voce; poi ci sono l’aratro e la spada, estensioni del suo braccio. Ma il libro è un’altra cosa: il libro è un’estensione della memoria e dell’immaginazione» dice Cortázar ai suoi studenti. E continua: «Ogni volta che leggiamo un libro, il libro è mutato, la connotazione delle parole è diversa. Inoltre, i libri sono carichi di passato».
Parlando delle sue strade di scrittore, racconta ai giovani universitari come è possibile passare dal culto della letteratura per la letteratura, ad una letteratura come ricerca del destino umano, alla letteratura come uno dei modi di partecipare ai processi storici che toccano ciascuno di noi e i nostri Paesi.
Cortázar non è solo uno scrittore, ma uno scrittore che usa la lingua come terreno di rivoluzione, che ha speso la sua vita a combattere le sintassi e le strutture che obbligano a pensare in modi predeterminati. Perché, tanto per cominciare, lo scrittore gioca con le parole, e il suo gioco è un gioco sul serio. Racconta della dilatazione del tempo oltre la realtà nella fantasia, nella fatalità, il gioco della mente e del pensiero. Di sequenze interiori, di visioni, di sguardi che abbattono le barriere spazio temporali, della grande narrativa latino americana.
Le otto lezioni di Cortázar sono riflessioni personali sulla sua vita e sul suo lavoro, inviti a chi gli sta intorno ad interrogare a sua volta la propria di vita, perché ognuno di noi come il Charlie Parker di Il persecutore può dire: «Questo l’ho già suonato domani».

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
direttore responsabile


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