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da: Raffaele Rinaldi, Candidato al Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna nella circoscrizione di Ferrara per Sinistra Ecologia Libertà

A seguito dei diversi articoli apparsi sulla stampa locale che riportano interviste al sindaco Fabbri candidato alla Presidenza della Regione Emilia Romagna, non possiamo fare a meno di condividere una riflessione sull’ orgogliosa indisponibilità ad accogliere i profughi nel proprio Comune, ma soprattutto sul continuo utilizzo – equivoco e disinvolto – di alcuni termini che non sono solo “parole”, ma descrivono la condizione e l’esperienza di vita – a volte drammatiche – di persone in carne ed ossa. Nello specifico chi scappa da situazioni di guerra, di persecuzione e di torture non è un clandestino, ma un profugo.
il riconoscimento e l’accoglienza dei profughi (che – non sono clandestini o semplici immigrati – né clandestini) oltre che ad essere un ineludibile appello etico che fa riferimento alla coscienza di tutti e di ciascuno – è regolamentata non dal capriccio di questo o quel comune, non da questo o quel governo ma – per fortuna – dalla Convenzione di Ginevra sottoscritta nel 1951; un trattato delle Nazioni Unite firmato da ben 147 paesi. Nell’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”.
Non stiamo però qui a far lezioni, o ad innescare polemiche vuote poiché è in gioco la vita delle persone siano esse italiane o immigrate. Infatti se da una parte non si accolgono profughi negandogli l’ospitalità, dall’altra comunque non si rivolvono i problemi dei cittadini.
Si può anche comprendere e giustificare la “non disponibilità” momentanea di un Comune ad accogliere un numero definito di profughi a causa degli effetti nefasti del sisma, ma non si può accettare che tale scelta diventi un atteggiamento ideologico di fondo “a priori” portato a sistema, o peggio ancora dettata unicamente da strategia politica per la raccolta consenso, che facendo confusione con i termini, mescolando i livelli diversi delle difficoltà, si costruisce quella rappresentazione sociale dell’immigrato sulla paura dell’”invasore”, appiccicando questo stigma addosso a qualsiasi immigrato, magari anche a quelli presenti e integrati nelle nostre città da diversi anni e, magari, vittime anche loro del terremoto o comunque della crisi.
Questa continua confusione contribuisce ad ammalare la società di schizofrenia. Al di qua dello schermo televisivo, ci indigniamo se migliaia di uomini, donne e bambini muoiono affogati nelle profondità del mare, siamo avviliti nel vedere bambini siriani che dormono nelle scatole di cartone, ci siamo entusiasmati della primavera araba, ma quando i più poveri dei più poveri, i profughi, le famiglie in cerca di libertà e di una vita migliore, tra cui tanti cristiani, lambiscono la soglia di casa allora per incanto diventano clandestini, ladri o potenziali delinquenti che ci rubano il lavoro, la cultura, l’identità. Arrivano in tanti, è vero. Ma non è “questa politica” a fomentare l’esplosione continua di guerre che spinge alla sopravvivenza migliaia di persone.
Se poi vogliamo parlare di clandestini mi chiedo che effetto abbiano avuto 10 anni di Bossi-Fini.
D’altra parte non possiamo scaricare sull’”ultimo” arrivato tutti i mali (e ci sono) del nostro sistema di welfare. Perché se il problema sono i costi, e sono d’accordo, il ragionamento dovrebbe estendersi parecchio: sugli sprechi enormi ed infiniti del danaro pubblico, i veri privilegi concessi alla casta e ai super stipendi e premi ai manager pubblici che nessuno vuole toccare, il danaro pubblico rubato da partiti o quelli erogati per finanziarne altri ormai sciolti da tempo. E la lista sarebbe infinita.
Certo è che siamo immersi nella crisi economica, manca il lavoro, mancano tante cose e sono questioni che non le risolviamo distraendo l’attenzione con lo spauracchio del clandestino brutto, sporco e cattivo, (che nulla ha a che vedere con i fondi dell’accoglienza per i profughi) tanto meno aprendo altre guerre tra poveri, ma bisogna lavorare molto per una proposta politica forte e inclusiva. E su questo le facciamo i nostri migliori auguri.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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