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da: Istituto di Storia Contemporanea Ferrara

Cosa significa ribellarsi in un campo di concentramento dove nessuno poteva scampare alle camere a gas? Alla gravosa domanda ha cominciato a rispondere il convegno internazionale “Resistenza Ebraica in Europa”, che si è tenuto oggi, al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara, e ha avvicinato centinaia di interessati, tra cui due istituti superiori della città e svariati studenti universitari. Dopo i saluti del Rabbino Caro, ha proseguito Andrea Pesaro, presidente della Comunità Ebraica locale, che ha marcato il valore testimoniale della resistenza: «Non provarono a salvare solo le vite delle persone, ma più spesso i documenti che provavano l’oblio della Shoah, poiché senza prove nessuno avrebbe creduto ai fatti».

Di fronte a tanta crudeltà non mancarono episodi di resistenza armata anche da parte delle comunità ebraiche perseguitate e la rivolta nel ghetto di Varsavia, o nei centri di sterminio di Sobibòr, Treblinka e Auschwitz-Birkenau, ne sono gli esempi più eroici e al contempo disperati. «La Resistenza francese – ha aperto i lavori Renée Poznanski, Ben Gurion University of the Negev – non si occupò degli Ebrei, siccome temeva di inimicarsi il popolo animato da sentimenti antisemiti. Si occuparono di metterli in salvo le organizzazioni umanitarie». Già allo stremo psichicamente quando anche non fisicamente e in condizioni materiali di disparità schiacciante, nei centri di sterminio industriali forse era l’esigenza insopprimibile di morire in dignità e di provare a sentirsi umani a spingere all’ultima difesa individuale. «Per riuscire a lasciare il Reich – ha motivato Beate Kosmala, German Resistance Memorial Center – servivano i mezzi. Le famiglie ebree tedesche che rimasero indietro non sottovalutarono il pericolo. E’ una credenza da sfatare. Rimasero bloccate in Germania poiché non avevano la disponibilità economica sufficiente a produrre i documenti con cui espatriare».

Ci furono molti gesti di reazione alla persecuzione: «Le modalità di resistenza furono molteplici – ha illustrato Edyta Gawron, Krakow Jagellonian University – Si prende più in considerazione quella collettiva e organizzata, sebbene si attiravano anche numerosi singoli». Infine la giornata di studi si è focalizzata sulla resistenza in Italia, dalle vicende dei fratelli Matilde e Giorgio Bassani, grazie al contributo di Antonella Guarnieri, direttrice del Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara, alla relazione presentata da Alberto Cavaglion dell’Università di Firenze sulla differenza tra antifascismo storico e resistenza armata dopo l’8 settembre del 1943: «L’introduzione delle Leggi Razziali del ’38 permise agli Ebrei di comprendere in anticipo cosa stesse accadendo. La componente ebraica era presente nelle resistenza di qualsiasi appartenenza politica – ha concluso –dagli azionisti ai comunisti. Il vero problema è la percezione della questione ebraica da parte degli antifascisti della prima ora e dei partigiani combattenti».

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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