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Ci lasciano i grandi protagonisti della cultura novecentesca. Tre giorni fa Cesare Segre, ieri Ezio Raimondi. Se ancora una parola come Maestro ha senso non c’è dubbio che Segre e Raimondi siano stati legittimamente Maestri. Solo nel 2012 all’apertura della settimana Alti Studi dell’Istituto di Studi Rinascimentali nel salone dei Mesi di Schifanoia Ferrara tributò un commosso omaggio a Ezio Raimondi assegnandogli il premio città di Ferrara, consegnato alla figlia, per la sua lunga e mirabile attività di presidente dell’Isr.

E’ difficile per i non addetti ai lavori ripercorrere il cammino che portò un’associazione culturale, come quella che nel 1983 nacque tra le tombe neoclassiche della Certosa di Ferrara, a diventare tra le più vivaci e interessanti realtà culturali del Paese, frequentata e sorretta dall’entusiasmo con cui un gruppo di intellettuali – con l’aiuto di un purtroppo dimenticato troppo presto assessore alla cultura quale fu Giuseppe Corticelli allievo di Raimondi – puntò sulla proposta che l’Europa delle Corti, libero e nuovo gruppo di studiosi, attenti alle società di antico regime, faceva a Ferrara e alla sua mirabile storia.

Nacque allora e ebbe sede a Ferrara l’Istituto di Studi Rinascimentali. Lavorarono per l’Isr studiosi come Amedeo Quondam, Paolo Prodi, Adriano Prosperi, Carlo Ossola, per citarne solo alcuni tra i tanti che firmarono quei testi, che superando ormai il centinaio di titoli, hanno profondamente influito sulla consapevolezza critica della funzione fondamentale delle corti italiane e tra le prime proprio Ferrara e il suo Rinascimento, ma non solo. Basti pensare a opere monumentali come lo Iupi, l’incipitario unificato della poesia italiana a cura di Marco Santagata o il fondamentale Atlante di Schifanoia a cura di Ranieri Varese o le edizioni dei volumi sulle Guerre in ottava rima fino alla pubblicazione dell’Orlando Furioso 1516 a cura di Marco Dorigatti.

E’ alla meta degli anni Novanta del secolo scorso che Ezio Raimondi viene invitato dall’allora sindaco di Ferrara ad assumere la presidenza dell’Istituto ferrarese. Un motivo d’orgoglio in più, specie in una stagione dove le risorse economiche si facevano sempre più esigue e dove, nonostante il prestigio raggiunto dall’Isr, si faticava non solo a stampare i volumi ma a trovare anche le possibilità di produrre regolarmente la pubblicazione di “Schifanoia”, la rivista, organo scientifico dell’Istituto. E se è necessario ritessere il filo che univa o ha unito per lunghi anni il lavoro svolto da Raimondi come presidente e da chi scrive questa nota come direttore dell’Isr è anche necessario ripercorrere le affinità e le discordanze che ci hanno permesso una collaborazione appassionata.

In tempi ormai lontani le scuole critiche saldamente gestite dai Maestri ( e Raimondi era tra i più prestigiosi) innescavano confronti e utili scontri sul metodo e sulla fedeltà alla scuola. Era dunque logico che le mie credenziali critiche affidate all’insegnamento di Walter Binni e di Claudio Varese non fossero sulla linea raimondea. Certo ci univa la comune amicizia con un grande storico dell’arte come Andrea Emiliani e da parte mia l’ammirazione per Francesco Arcangeli amico e sodale di Raimondi che – per li rami – portava a Giorgio Bassani e in più l’irresistibile propensione a interessarmi di storia dell’arte che mi portò a diventare canovista e “giardiniere”: due specificità critiche che Raimondi coltivava da sempre in modo superbo. Ciò non impedì che nel comune rispetto e nell’ammirazione che gli professavo sarebbe stata una non facile scommessa pensare a come sarebbe stata la collaborazione che fu estremamente proficua e leale.

La sua inflessibile consapevolezza di un’ eticità del pensiero critico che mai si sarebbe piegata a una sia pur minima strumentalizzazione del lavoro scientifico si coniugava con quella sterminata cultura che gli rendeva possibile leggere quell’ impressionante numero di testi che invadevano come un meraviglioso castello d’Atlante la sua casa e il suo ufficio all’Istituto dei Beni Culturali di Bologna. E quanta ironia e nello stesso tempo quanta consapevolezza c’era nella raccomandazione di portargli i libri in ufficio per non turbare la moglie destinata a coinvivere con quelle migliaia di volumi! L’incarico era affidato a Claudia Spisani la segretaria dell’Isr addetta ai contatti con la sede bolognese.

Con Raimondi si respirò in quegli anni il senso e il modo di raggiungere l’internazionalità del lavoro svolto dall’Isr. Un nome come quello di Raimondi significava che per l’associazione ferrarese era giunto il momento dell’eccellenza (parola troppo usata e spesso a sproposito) nella produzione scientifica, nel lavoro organizzativo e nelle settimane alti studi. Sembra ormai che quei tempi siano lontanissimi, quasi un’età dell’oro, ma forse dimentichiamo che l’intero impianto culturale sta subendo radicali cambiamenti che renderanno gli studi e la loro organizzazione fondamentalmente diversa da come noi (quelli dell’altro secolo) avevamo immaginato e perseguito.

E’ di pochi giorni fa la clamorosa protesta del presidente dell’Istituto nazionale di studi sul Rinascimento di Firenze, Michele Ciliberto, che minaccia la chiusura di alcuni settori del più importante Istituto di ricerca sul Rinascimento dotato di una sterminata biblioteca e di opere d’arte d’altissimo pregio perché i fondi vengono negati o scemati. La stessa sorte che ha in parte condiviso anche l’Isr. Sembra che quel tipo di cultura ma soprattutto il modo con cui i Maestri hanno gestito l’organizzazione della cultura sia diventato obsoleto o non perseguibile. Un motivo che immagino sarà di non poca importanza per il nuovo ministro del Mibac, Dario Franceschini.

Quello di cui dobbiamo essere grati è stato come un intellettuale di primissimo piano come Ezio Raimondi abbia creduto nelle possibilità culturali di una piccola città come Ferrara e con lui quella straordinaria schiera di studiosi che si sono messi al servizio di una città che dovrebbe del suo glorioso passato trarre linfa per costruire o suggerire un futuro ancora foriero di speranze.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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