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Ricordo bene l’anno: 1956. I nonni adottivi decidono di trasferirsi a Viareggio ed aprire una piccola attività commerciale di fronte alla Pineta. Lei, la nonna Ghita, discendente dai conti Crispi, lui, il nonno Berto, direttore delle poste ferraresi e naturalmente cavaliere. Hanno una figlia, la zia Lina, bellissima ma claudicante. La famiglia del nonno è pisana e a Ferrara abitano l’appartamento al di sopra di quello dove son nato. Enorme. Quattordici stanze in parte requisite dalla guerra. Lì trascorro la mia solitaria fanciullezza e adolescenza con il cambio casa dal venerdì alla domenica. Regole severe: al cinema sì ma non con mio fratello e i suoi scatenati amici che fumano e rumoreggiano ( specie a vedere “Tarzan”) nei terzi posti. Al massimo un dignitoso secondi posti, da solo. Fra vecchie dame e anziani signori.

Ma a Viareggio le cose cambiano. Ben presto al bagno “Adriana” accanto all’orologio in Passeggiata mi trovo una ghenga di tutto rispetto e la bagnina, la vera potenza del bagno, non storce il naso se per dividere la cabina (obbligatoria) siamo in una quindicina tra ragazze e ragazzi e a lei tocca lavare tutti i costumi. L’altra potenza indiscussa è “la melaia” che, trasportando le mele caramellate lungo il litorale, ci annuncia l’arrivo degli “stranieri” che val la pena di conoscere.

Una vita da spiaggia impossibile da paragonare alla presente. Già il cambio di prospettiva tra la riviera romagnola e quella versiliese comportava un adeguarsi a nuovi riti e nuovi miti: a “Ritzzone” alias Riccione nella parlata romagnola, viale Ceccarini, il “Florida”; a Viareggio i locali della “Capannina” e della “Bussola” che nulla dicevano agli ammiratori scatenati delle straniere e al tipico bagnino palestrato che faceva strage di cuori tra Rimini e Cattolica. Nella ghenga viareggina qualche figlio di potenti ci fece avere la tessera d’ingresso gratuito alla Bussola e dopo aver traccheggiato almeno fino alle una di notte in Passeggiata si inforcavano lambrette, vespe e al caso le biciclette e ci si trasferiva nel luogo magico. Naturalmente impossibile sedersi a un tavolo causa mancanza di dané. Se non si ballava fino allo sfinimento, bisognava appoggiarsi con naturalezza al bancone del bar e far finta di osservare il movimento con occhio falsamente distratto mentre il cuore si scioglieva a sentire Mina o addirittura la immensa Marlene Dietrich. E ballare cheek to cheek sfiorando Paola del Belgio slimonante col suo bel futuro re o i rappresentanti di qualche Agnelli giovane conosciuto solo da pochi lettori della pagina gossip della “Nazione”  mentre noi, vagamente di sinistra, si leggeva “Il Tirreno”.

Ma le mode cambiavano anno dopo anno. Il fotografo della Passeggiata ci immortalava  abbronzati e felici d’estate o, durante il carnevale, con i costumi presi a nolo per la festa immancabile al Principe di Piemonte. Ma non si era più in ad ammucchiarsi dalla Adriana. Bisognava spostarsi alla città- giardino un orrido e lussuoso quartiere tra Viareggio e Lido di Camaiore. Qui travolti da un insolito destino d’agosto i flirt diventavano più impegnativi, spuntavano le prime utilitarie e il vero snob si spostava a Lerici o a Tellaro: andata e ritorno in giornata naturalmente sulla nazionale e non certo in autostrada con colletta generale per la benzina.

L’Università stava per finire e le soste a Viareggio dei nonni sempre più lunghe in tempi non festivi permettevano le biciclettate lungo la battima per raggiungere il caffè Roma al Forte dei Marmi e, confortati dalla presenza aleggiante di Montale, ci si sedeva a leggere la traduzione dell’Ulisse di Joyce sotto le molli ombre dei platani. Poi da Pietrino a mangiare la focaccia o al mercoledì al mercato dove fare un pensiero sui cachemire ( i primi) a prezzi abbordabili.

Sono decenni che non passo le vacanze in Versilia. Le ultime al Bagno Liù dietro il tendone di “Bussola domani”. Qui approdavano Maestri insigni. La casa del bagnino occupata da Paola Barocchi e da Nencioni suo cognato. Una vita semplice fatta di bagni, di sole e di gelati da mangiare ai “Sorci verdi” del Lido di Camaiore. Poi l’ammissione al caffè Roma dove l’aperitivo era condiviso tra elette discussioni con Domenico de Robertis, Adelia Noferi, Piero Bigongiari e talvolta Mario Luzi di passaggio. Ormai “La Bussola” o “La Capannina” stavano tramontando e con esse il senso del ballo inteso non come ora sostitutivo di una  intensa attività fisica. La sua morte era stata decretata dal finale della “Dolce vita”. Le notti versiliesi cambiavano di rotta. Era più credibile passare i pomeriggi al “Caffè Margherita” a parlare d’arte o di letteratura, riesumare l’arte di Lorenzo Viani o procurarsi a ogni costo il biglietto per la serata conclusiva del Premio Viareggio. Spingersi fino a Bocca di Magra sulle tracce di Montale o di Byron e ricordarsi che lì approdavano Vittorini e Sereni e Pavese invano aveva tentato di raggiungere gli amici nell’agosto del Cinquanta.

La mia educazione versiliese finisce lì tra i profumi indimenticati della pineta e le ultime escursioni tra Sarzana e Colonnata. Ora rimangono solo i ricordi di luoghi amatissimi che forse non saranno più quelli che ho conosciuto  ma che ti hanno insegnato a credere nel potere della bellezza e della civiltà.

…E la cronaca del giorno ai Lidi

Appena inviati al giornale i ricordi di una vita da spiaggia di tanti anni fa, ecco che oggi al Lido degli Estensi si scatena la tempesta perfetta consegnando quel che avviene sulle spiagge (a cronache mute, non riportate dai giornali) e fissando per sempre una immagine vergognosa di quel che succede nell’ormai riclassificato Laido, ma soprattutto a coronare la vicenda, mettendo in luce quella razza di “itagliani” che si definiscono villeggianti e che oggi hanno avuto un gran divertimento ed eccitazione per il loro teatro gratuito.

Già dal primo mattino le polpute dame e i curiosi si accalcavano attorno ai baracchini dei dannati della terra che promettevano ulteriori sconti ferragostani. Il mare era completamente nascosto dalle improvvisate estensioni di merce contraffatta e si vedeva solo un immenso palcoscenico di natiche e corpacci sudati tutti intenti ai tristi traffici. Improvvisamente i caporali danno il segnale; ma troppo tardi. Irrompono di corsa dalle passerelle dei bagni una decina di poliziotti che si mettono ad inseguire gli abusivi. Spettacolarmente alcuni di loro si gettano in acqua con la mercanzia, altri fuggono inseguiti da ragazzi in blu che sembrano appena usciti da qualche gara di corsa. Uno viene preso e ammanettato tra i lamenti dei caporali e lo sguardo smorfiosetto delle dame che commentano: “Almeno la polizia ha uno stipendio fisso, questi poveracci non hanno niente!!!” A pensare che chi dovrebbe essere punito sono proprio loro: gli sconsiderati compratori degli stracci firmati. Ecco allora che non i blitz della polizia sono necessari, ma la severa applicazione delle multe ai compratori del falso lusso. Ma il solito sindaco di Comacchio non aveva promesso multe altissime agli sventati e irriducibili compratori di schifezzine? Perché non si applica il provvedimento? Perché ci si limita a minacciare per gattopardescamente non cambiare nulla?
E di fatti stamane i fagotti son più numerosi, le distese, più ampie pigramente sciorinano la loro merce e gli “itagliani” comprano, comprano scuotendo il loro lardo pr rassicurarsi che tutto va ben signor la marchesa…
Prima considerazione: perché solo davanti a certi bagni si vede l’affollamento degli abusivi? Seconda considerazione: la Carife del Lido oggi non distribuisce i soldi prelevati col bancomat. L’Unicredit ne distribuisce solo 150. Siamo in Grecia?

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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