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Confesso di essere un lettore distratto. Ma mi chiedo perché, nell’oceano di statistiche, grafici, dati e cifre che ogni giorno ci sommerge, non trovino quasi mai posto un ragionamento, un’indicazione, uno studio sul cosa fare per superare questa crisi.
La contrapposizione dottrinale e politica tra rigore e sviluppo tiene ancora banco in Europa, e non si sa ancora quale dei due orientamenti prevarrà. Nel frattempo chiudono imprese, saltano posti di lavoro, si riducono al lumicino le speranze di migliaia di giovani di avere un lavoro ed un futuro. Per l’Italia, il Rapporto Censis 2013 – non certo un bollettino rivoluzionario – punta il dito contro politici, imprenditori e banchieri, additandoli come responsabili primari della crisi. “È impossibile pensare ad un cambiamento – sostiene il Censis – perché la classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla”. Terribile.
Tentiamo qualche ragionamento. Negli ultimi quindici – vent’anni il nostro Paese ha perso o fortemente ridotto la sua capacità produttiva in settori industriali nei quali era stato tra i primi al mondo. Dapprima l’informatica e la chimica; poi l’elettronica di consumo, l’industria aeronautica, gli elettrodomestici e la siderurgia. O si sono perse posizioni, o si è restati marginali.
Rimane in piedi l’auto, con tutte le difficoltà ben note di un mercato maturo e dal futuro imprevedibile. Il fallimento della municipalità di Detroit, città dell’automotive per eccellenza schiacciata da 18 miliardi di dollari di debiti, è un campanello d’allarme preoccupante al riguardo.
Perché sono così in pochi ad indicare come uscire da questa situazione? Nessuno dice cosa si deve produrre in Italia, al posto di quello che non si produce più, e dove lo si deve vendere.
La verità è che il nostro Paese da anni non investe o investe poco nelle intelligenze e in settori nuovi. Quando lo fa, lo fa male. Nella produzione di energia alternative, ad esempio. Il fotovoltaico ha pesato troppo sulla bolletta elettrica e con il calo degli incentivi si è sgonfiato rapidamente. L’utilizzo delle biomasse, soprattutto nella Valle Padana, ha suscitato proteste più che consensi, probabilmente perché non ha utilizzato giuste ed avanzate tecnologie. Più in generale, la green economy – cavallo di battaglia di uno sviluppo alternativo – in Italia non è diventata sistema, nonostante molte e lodevoli iniziative imprenditoriali.
Intanto si aspettano idee per uscire dalla crisi. Dal governo, anzitutto, ma anche dagli imprenditori. Tempo fa il presidente di Confindustria Squinzi ha detto più o meno che, se incentivati da politiche pubbliche, gli industriali italiani ci avrebbero stupito. Aspettiamo fiduciosi, ma non tanto.

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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