Skip to main content

Quando c’era Profumo. Chi lo ricorda? Sono nove anni, poco meno di due lustri, eppure sembra un’epoca lontana, ancora appartenere al secolo scorso. Profumo è stato ministro della pubblica istruzione nel governo Monti. Nel 2012 si è intestato un convegno, tenuto a Roma, molto importante, con una sineddoche per tema: “Quando lo spazio insegna”, nuove architetture per la scuola del nuovo millennio.

La scuola open space, senza aule, né corridoi. Dove studenti e insegnanti lavorano in modo collaborativo, sfruttando le possibilità offerte da internet e dalle tecnologie della comunicazione. Una scuola aperta tutto il giorno, disponibile alle contaminazioni con il territorio: scuola vera e propria al mattino, centro sportivo e di aggregazione al pomeriggio, centro di formazione per gli adulti alla sera. Queste, nelle parole del ministro di allora, le conclusioni del convegno, perché la scuola della società della conoscenza richiede spazi modulari e polifunzionali, facilmente configurabili ed in grado di rispondere a contesti educativi sempre in evoluzione.

Il suggerimento uscito dal convegno era quello di alzare lo sguardo sulle esperienza delle  scuole europee che avevano intrapreso un percorso di ripensamento dell’ambiente di apprendimento. Siamo al dunque, e la legge sull’edilizia scolastica è ancora quella dal 1975, con le aule come unità didattica. Ora che si studiano gli spazi il principio è sempre lo stesso.

Quando si deve mettere in sicurezza un luogo o lo si chiude o, se si tiene aperto, occorre considerare attentamente l’uso a cui è destinato quel luogo e quali attività in esso si svolgono.
Non so chi abbia coniato la pessima espressione “classi pollaio”, so però che la promessa di eliminarle contiene un inganno, perché anche quando si riducesse il numero dei polli il pollaio resterebbe sempre un pollaio. La scuola magazzino, la scuola silos di generazioni non funziona più, non da oggi, ma da tempo. Un tempo nutrito di riflessioni pedagogiche e di esperienze, ma sempre un tempo che la scuola ha tenuto distante da sé.
E, dunque, si continua ad ignorare la necessità di aprire il pollaio, di abbattere le mura del magazzino, di demolire i silos. Ci si comporta come se fosse scoppiata l’aftaepizootica e la soluzione consistesse nel distribuire gli animali in più stalle a ruminare come prima.

Con “andare a scuola” noi intendiamo l’impegno ad apprendere e a studiare, che però non vuol dire per forza di cose stare tutti insieme in una aula ogni giorno per duecento giorni all’anno, come non significa che giunge un momento nella vita di ciascuno di noi in cui si smette di “andare a scuola”, nel senso che si cessa di studiare.

Un aspetto su cui è opportuno fare chiarezza è che ‘cultura’ ed ‘educazione’ sono due cose distinte che non vanno mischiate tra loro come spesso invece ci accade di fare.
La questione se la poneva Lev Tolstoj intorno agli anni Sessanta del diciannovesimo secolo. Tolstoj risolve il problema sostituendo al concetto di educazione quello di ‘cultura’, sostenendo che si deve operare una netta distinzione tra le nozioni di cultura, educazione, istruzione e insegnamento.
La cultura è la somma di tutte le esperienze che formano il nostro carattere, mentre l’educazione è il prodotto della volontà di plasmare la personalità e il comportamento delle persone. Ciò che differenzia l’educazione dalla cultura è, dunque, ‘il carattere coercitivo’, l’educazione è cultura obbligatoria; la cultura è libertà.

Sto sostenendo che volendo riaprire le scuole a settembre, prima sarebbe stato necessario decidere cosa farci dentro a quegli edifici: organizzare il pollaio in funzione della  sicurezza o organizzare la sicurezza in funzione del riprendere a fare cultura?

L’edificio scolastico è un luogo di studio dove i processi di apprendimento sono individualizzati, né più ne meno delle cure mediche, dove si promuove l’autonomia, vale a dire il camminare da soli con le proprie gambe nei territori della cultura, avendo grande attenzione alla qualità dei compiti a ciascuno richiesti. La scuola non può che essere il luogo della flessibilità, della scomposizione e della ricomposizione di spazi, gruppi, esperienze e relazioni. Alla scuola non servono piani d’appoggio, ma tavoli da lavoro, le sedute con il piano ribaltabile vanno bene per l’aula magna, per la sala delle conferenze, non certo per spazi laboratorio, intendendo per laboratorio ‘i saperi operosi’, l’operosità del sapere. L’apprendimento come processo culturale, mai statico ma sempre dinamico. Allora la sfida mancata è quella di riaprire a settembre degli ambienti di apprendimento, degli spazi dove si svolge la cultura, anziché i silos e i magazzini che continuano a contenere generazioni dopo generazioni.

Il tempo ci sarebbe stato già prima, ma volendo, anziché usare la demagogia delle ‘classi pollaio’ come specchietto per le allodole, sempre che si avessero delle idee e delle riflessioni in testa, si sarebbe potuto lavorare fin da marzo per predisporre nuove scenografie, nuove regie degli apprendimenti, della cultura e dei saperi.
Invece si è nominato un commissario al grande Moloch, senza considerare che in un luogo in cui si fa cultura l’uso dello spazio oltre ad essere dinamico è dialettico. Varia dai progetti, dai percorsi didattici, dalle proposte di lavoro, dai conflitti, dalle strumentazioni di cui si dispone, insomma da quello che si intende fare che non sempre è identico a se stesso e da quello che avviene che non sempre è anticipabile.
Gruppi che possono essere anche numerosi, con le necessarie misure di sicurezza, se si tratta di un video o di una conferenza, gruppi più piccoli, monadi che necessitano di spazi in cui gli arredi siano fruibili in modo da permettere sia il lavoro singolo che cooperativo e agli insegnanti di muoversi da un’isola all’altra, di avere un rapporto uno a uno quando necessario.  Aule atelier in cui si può essere anche in diversi e mantenere le distanze, aule di musica dove l’apprendimento dello strumento musicale avviene con la presenza di poche unità di alunni per volta. Se si suona il flauto e la chitarra in forma orchestrale lo si può fare in spazi ampi. E poi c’è il territorio con le strutture e le istituzioni culturali che offre, dunque, una distribuzione degli spazi che va ben oltre l’aula. In questa prospettiva ci sta anche l’ibrido con la didattica a distanza che può funzionare da tutoraggio di ciò che è già stato predisposto a lezione negli spazi scolastici o fuori sul territorio.

Infine la variabile tempo entro cui la cultura non può essere sacrificata come avviene a scuola, un tempo che va dilatato in funzione degli apprendimenti e dell’uso degli spazi. Le scuole sono gli edifici del nostro sistema culturale, pertanto non possono essere adibite alle sole necessità della didattica, come per lo più è accaduto finora, ma devono soddisfare anche quelle del territorio. Per cui non ci sarebbe nulla di scandaloso se si facessero turni di fruizione diversi in edifici predisposti con ambienti di apprendimento anziché di insegnamento, lo stesso vale per l’uso delle strutture messe a disposizione dal contesto urbano.

Da marzo il discorso sulla scuola ha conosciuto solo banchi, piani di riapertura sfornati dai comitati tecnico-scientifici e linee guida riviste e corrette. Tutto è stato enfatizzato come se la scuola fosse una vita a parte, diversa, come se le norme da rispettare non fossero quelle di tutti i giorni, distanziamento, mascherine, igienizzazione.
Siamo transitati dallo spazio che “insegna” vagheggiato dal ministro Profumo allo spazio che “consegna”, alle bambine e ai bambini, alle ragazze e  ai ragazzi che, in tempo di Covid, sono consegnati nelle aule e nei banchi, semmai nuovi, ma sempre in fila gli uni dietro agli altri come plotoncini alla conquista della loro educazione.

Al racconto di idee, proposte e soluzioni sono mancati i professionisti della cultura, gli insegnanti, a cui neppure si è pensato di dare voce o che non hanno avuto la  necessaria autorevolezza professionale per farsi ascoltare. Epidemiologi e virologi sono saliti alla ribalta delle interviste e degli studi televisivi,  gli insegnanti hanno lavorato a distanza, verrebbe da dire in ombra, sopravanzati da una catasta di banchi che non ha mancato di riempire i palinsesti televisivi.

tag:

Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it