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Il più bel bacio della storia della fotografia? Impossibile stabilirlo.
Ma è certo che un posto sul podio spetta all’immagine della  giovane coppia, indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi.
L’autore è Robert Doisneau, il grande maestro della fotografia cui Palazzo Roverella renderà omaggio nell’autunno 2021 attraverso una mostra originale, capace di rivelare al pubblico delle opere la cui vocazione è, appunto, catturare momenti di felicità come questo.

Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati.
Questa mostra a Palazzo Roverella abbraccia la sua opera senza distinzioni cronologiche né alcun criterio di genere o tema, affiancando fabbriche, banconi di bistrot, portinerie, cerimonie, club di jazz, scuole o scene di strada in generale. Che si tratti di fotografie realizzate su commissione o frutto del suo girovagare liberamente per Parigi, vediamo delinearsi uno stile impregnato di una particolare forma mentis, che traspare anche nei suoi scritti e nelle didascalie delle foto; uno stile che mescola fascino e fantasia, ma anche una libertà d’espressione non lontana dal surrealismo. Se lo stile è l’uomo (come dice Buffon), allo stesso modo la fotografia si identifica con alcuni dei suoi soggetti per esprimere una sorta di inquietudine o malinconia.
Un racconto – quello proposto dal curatore di questa mostra, Gabriel Bauret – condotto attraverso 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge. È in questo atelier che il fotografo ha stampato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi.

Quello di Doisneau è un raccontare leggero, ironico, che strizza l’occhio con simpatia alla gente. Che diventa persino teneramente partecipe quando fotografa innamorati e bambini.
“Quello che cercavo di mostrare era” – ricorda l’artista – “un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. “

“Mi piacciono – continua – le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori.” “Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. La sua tecnica dovrebbe essere come una funzione animale, deve agire automaticamente.”

Doisneau nasce nel 1912 nel sobborgo parigino di Gentilly. La sua formazione come fotografo nasce dall’apprendistato nel laboratorio di un fotografo pubblicitario. Ma la sua attenzione si trasferisce presto ai quartieri popolari di Parigi e della banlieue, immagini che cominciano a comparire sulle riviste attraverso l’agenzia Rapho, di cui è uno dei membri più importanti. Poi la guerra lo spinge a mettersi a disposizione della resistenza per dare nuova identità ai ricercati. Dopo la Liberazione, ecco alcuni reportages per “Vogue” e nel ’49 il libro realizzato in collaborazione col suo sodale, il celebre scrittore Blaise Cendrars, La Banlieue de Paris, la prima sintesi dei molti racconti per immagini che dedicherà a questo mondo. Doisneau ne descrive la quotidianità, componendo un racconto visivo in cui si mescolano una profonda umanità e una nota di umorismo, sempre presente nel suo lavoro.

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Riceviamo e pubblichiamo


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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