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La Romagna, soprattutto nella parte collinare e pedemontana delle Provincie di Forlì-Cesena e Ravenna (compresa Faenza), vanta una gloriosa tradizione vitivinicola, grazie alla posizione favorevole tra Appennino e pianura, composizione e varietà dei terreni e vitigni acclimatati da secoli.
I vini romagnoli hanno una storia che si perde nella notte dei tempi. Dei cinque che possiamo definire classici, due vitigni (Sangiovese e Trebbiano) sono i più diffusi nel territorio nazionale, padri maggioritari di molti vini, anche di grande pregio. Gli altri tre sono: Albana, Pagadebit e Cagnina.

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Grappoli di uva Sangiovese

Le prime notizie riguardanti il Sangiovese (a bacca rossa) risalgono al lontano ‘600; quando durante un banchetto tenuto nel monastero dei frati cappuccini in Santarcangelo di Romagna, alla presenza di Papa Leone XII, fu servito questo vino prodotto dagli stessi monaci. Ne fu chiesto il nome e un monaco disse che quel vino rosso si chiamava “Sunguis di Jovis”, Sangue di Giove (Sanjovese). Col passare degli anni, il Sangiovese assunse a simbolo della terra di Romagna, pur essendo diffuso in quasi tutto il territorio nazionale ed è il vitigno tradizionalmente più importante dell’areale toscano.

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Grappoli di uva Albana

L’Albana è un vitigno cosiddetto “a bacca bianca” (foglia grande e pentagonale, buccia di colore giallo intenso) ed è coltivato nelle provincie di Forlì-Cesena, Ravenna e Bologna. L’origine di quello che è definito il “biondo nettare di Romagna” sembra risalire ai tempi dei romani. Se ne trova traccia negli scritti di quell’epoca che riferiscono di Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio. Molto più probabilmente il suo nome deriva dalla qualità dell’uva chiara, che è considerata la migliore delle uve bianche, da cui “Albus” (bianco per eccellenza), Albana. Il paese di riferimento di questo vino è Bertinoro, arroccato su una piccola collina tra Forlì e Cesena. Dal 2011 è nata la nuova denominazione Romagna Albana (certificato Docg).
Il Pagadebit è un vino a “bacca bianca”, composto per l’85% dal vitigno Bombino Bianco, che resiste a qualsiasi condizione climatica. Il suo nome deriva dal fatto che i contadini, grazie alla sua resistenza riuscivano sempre a pagare i debiti contratti nell’annata vitivinicola. Una volta era usanza stipulare contratti sulla parola, detti appunto Pagadebit.
Il Trebbiano fa parte di una delle famiglie di vitigni a bacca bianca, tra i più diffusi in Italia, presente nell’uvaggio di moltissimi vini Doc. L’origine, in Romagna risale ai periodi Etrusco e Romano, dove i colonizzatori impiantarono vitigni dopo la bonifica e l’appoderamento delle terre. Col passare degli anni, dall’antico ceppo di Trebbiano ne è nata una famiglia coltivata anche negli Usa in California. Un buon Trebbiano di Romagna si sposa con tutti i formaggi freschi molli della sua zona (Robiola, Raviggiolo, Casatella e Squacquerone).
La Cagnina è un vino a “bacca rossa” di antica coltivazione, particolarmente dolce e amabile, pronto da bere subito dopo la vendemmia, che si ottiene per almeno l’85% dalle uve del vitigno “Refosco” localmente denominato “Terrano”. Di questo vino se ne parla sin dall’epoca Bizantina durante la quale fu importato dalla Dalmazia e dall’Istria, in occasione dell’acquisto di pietra calcarea per la costruzione dei monumenti storici di Ravenna. Le prime notizie di questo caratteristico vino risalgono al XIII secolo e si riferiscono alla vite e al vino friulano (barbatelle di Terrano d’Istria o del Carso, sinonimi di Refosco d’Istria o del Carso).
Nel 2013 l’Emilia-Romagna è risultata la quinta regione Italiana nell’esportazione di vino.

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William Molducci

È nato a Forlì, da oltre 25 anni si occupa di giornalismo, musica e cinema. Il suo film “Change” ha vinto il Gabbiano d’argento al Film Festival di Bellaria nel 1986. Le sue opere sono state selezionate in oltre 50 festival in tutto il mondo, tra cui il Torino Film Festival e PS 122 Festival New York. Ha fatto parte delle giurie dei premi internazionali di computer graphic: Pixel Art Expò di Roma e Immaginando di Grosseto e delle selezioni dei cortometraggi per il Sedicicorto International Film Festival di Forlì. Scrive sul Blog “Contatto Diretto” e sulla rivista americana “L’italo-Americano”.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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