Skip to main content

Chi si ricorda della pubblicità del Punt e Mes? “One point of sweetness and half a point of bitterness recita tuttora lo slogan sul sito, traduzione inglese dell’ espressione in dialetto di un agente di borsa amante del vermut che, nella bottega Carpano di Torino, alla domanda del cameriere su cosa volesse da bere, rispose soprappensiero “‘n punt e mes”. Lui in realtà stava pensando a quanto era salita la quotazione di un titolo che stava seguendo, ma il cameriere capì un’altra cosa e gli portò un vermut corretto con mezza china. Questo narra la leggenda sulla nascita del più celebre vermouth industriale italiano, con un bicchiere del quale Gianni Agnelli era solito accompagnare il pasto. Lo slogan in italiano me lo ricordo invertito, cioè un punto di amaro e mezzo di dolce, ma poco importa. Quel che importa è che i soldi c’entrano sempre.

Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è denaro pronta cassa. Sto forse esagerando? Beh, è certamente più pronta del Recovery Fund, che ci metterà del tempo a tradursi in schei – e già il proverbiale genio bizantin-italico sta provvedendo a complicare le cose con commissioni bicamerali e task force su come gestire questa massa di denaro. Quindi il MES è lo strumento che farebbe al caso nostro, se guardassimo solo all’urgenza di avere soldi. E questa urgenza è assoluta, come ho già scritto e riscritto (mentre scrivo cinquanta aziende stanno fallendo per cassa e non per competenza, perché si fallisce quando finiscono i soldi). Ciò premesso, il MES è la tentazione a portata di mano. Quando il discorso rischia di complicarsi passo dallo Stato alla persona, o alla famiglia. Il MES può essere per lo Stato italiano l’equivalente del possidente locale che presta soldi a strozzo ad una famiglia in difficoltà, che non ha più credito o ne avrebbe, ma in troppo tempo. Se avete bisogno di soldi adesso, la banca non è il posto che fa per voi. Uno strozzino invece potrebbe.

Ma è uno strozzino, appunto. Varoufakis, l’ex ministro delle finanze della Grecia ai tempi del mancato accordo con la cosiddetta Troika, credo la metterebbe giù così. Per lui il MES non è altro che quel meccanismo di strozzinaggio che ha strangolato i suoi concittadini, costretto al taglio dei servizi sociali, impedito per sempre una risalita dal debito che non fosse una dichiarazione di insolvenza. E non si fida nemmeno del MES attuale, che a suo parere è stato imbellettato per dargli l’aspetto di una sirena, ma sotto il trucco si nasconde la spietata Circe di sempre.
Varoufakis con certa gente ci ha trattato, quindi li ha conosciuti, a differenza di noi, che guardiamo i nudi fatti da fuori. E i nudi fatti osservati da fuori, forse ingenuamente, sembrano raccontare che il MES post Covid-19 non è più quel MES.

Uno strozzino, il giorno dopo che ti ha prestato i soldi, comincia a suonare al tuo campanello per sapere se stai lavorando per restituirglieli. Non solo quelli che lui ti ha prestato: quei soldi sono un favore costoso, proprio perché nessuno te li avrebbe procurati così in fretta. Quindi gli dovrai restituire anche degli interessi salati, che salgono per ogni giorno di ritardo nella restituzione. Non pensate al vostro mutuo trentennale, che vi fa sobbalzare quando leggete che, alla fine dell’ammortamento, avete ridato il doppio di quanto vi è stato imprestato. In trent’anni però. Con un usuraio questo può accadere in trenta giorni.

Questo MES post Covid (una linea di credito fino a 36 miliardi di euro), però, non ha tassi da usuraio. Anzi, ha tassi favorevolissimi, migliori di quelli che ti chiederebbe un tuo amico (tipo uno che compra i BTP) per prestarteli lui. Inoltre, questo MES non ha condizioni particolari di restituzione. I tempi sono lunghi (7 o 10 anni), e l’unica condizione posta per la concessione è che questi soldi vengano spesi per far fronte a costi sanitari da emergenza Covid, diretti o indiretti; il che potrebbe autorizzare a pensare che, visto quanto sta succedendo, molte spese non direttamente sanitarie possano essere finanziate perché correlate causalmente all’emergenza pandemica: ad esempio, tutti gli interventi di logistica del distanziamento. E, in ogni caso, se questi soldi potessero servire anche solo per migliorare l’impostazione della medicina territoriale, la disponibilità dei posti letto intensivi e la remunerazione (almeno) degli infermieri di area emergenza e urgenza, ci sarebbe da festeggiare.

Io non sarei tanto preoccupato, come lo è Varoufakis, che mi controllino come una Troika e che ad un certo punto ripristinino le norme draconiane di prima del Covid, in modo da “fregarmi” e sottopormi, a posteriori, a condizioni umilianti e insostenibili per rientrare. Non sarei nemmeno troppo preoccupato, alla Movimento 5 stelle, che prendere debito privilegiato (vuol dire che, in caso di fallimento dell’Italia, la massa attiva dovrebbe prima rimborsare il MES e poi, se ne rimane, pagare i creditori non privilegiati, tra cui i detentori di BOT, BTP eccetera) dia un messaggio negativo ai mercati, tale da far aumentare i tassi da pagare sul nostro debito.
Intanto la cifra attingibile dal MES è comunque una percentuale bassissima rispetto al debito pubblico. Poi, proprio il fatto di attingere al MES, a quanto si legge, consentirebbe alla BCE l’acquisto in quantità illimitata di titoli del debito della nazione prenditrice, tale da scongiurare a priori la speculazione. Se il mercato è sicuro che ci sarà sempre qualcuno a comprare il tuo debito (concetto esemplificato dalla famosa frase “whatever it takes” di Mario Draghi), e questo qualcuno è una Banca Centrale, la rischiosità relativa del debito di uno Stato rispetto ad un altro si annulla; quindi i tassi del debito non salgono.

Quello di cui sarei, piuttosto, preoccupato è il fatto che questi soldi finiscano nelle mani dell’inefficiente macchina statale italiana, capace di trasformare in sterco il cibo più gustoso, il tutto senza passare dallo stomaco e dall’intestino, per una sorta di miracolo al contrario.
Guardate, ma solo per dirne una, la storia dell’ospedale Covid di Milano: costato 21 milioni, attrezzato per 400 posti, ricoverati totali una decina, una cattedrale nel deserto, visto che, come ha scritto il prof. Bruschi, cardiochirurgo del Niguarda, il giorno dell’inaugurazione in pompa magna, “una terapia intensiva non può vivere separata da tutto il resto dell’ospedale. Una terapia intensiva funziona solo se integrata con tutte le altre strutture complesse che costituiscono la fitta ragnatela di un Ospedale perché i pazienti ricoverati in terapia intensiva necessitano della continua valutazione integrata di diverse figure professionali, non solo degli infermieri e dei rianimatori ma degli infettivologi, dei neurologici dei cardiologi, dei nefrologi e perfino dei chirurghi“.
E’ questa la desolata ragione per cui non saprei esprimere un’opinione certa sull’opportunità di assumere nuovo debito attingendo al MES. Le mie perplessità non si concentrano sulle possibili trappole nascoste nel meccanismo dell’ente creditore, ma sull’affidabilità e serietà del debitore. Per sollevarmi lo spirito, forse vale la pena di berci sopra un buon vermouth.

Cover: immagine da Wikipedia commons

tag:

Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it