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All’uscita della cresima, suggello di anni di catechismo, coi parenti in ghingheri e nell’atmosfera ecumenica, cerimoniosa e festante del sagrato, alla domanda su cosa questa esperienza gli aveva lasciato, mio figlio rispose: “Mi sento agnostico”. Mutuo la (involontaria?) genialità di questa sua affermazione preadolescenziale: anch’io voglio essere agnostico sul caso del cardinale Becciu, numero due della Segreteria di Stato vaticana, dimissionato da Papa Bergoglio per un utilizzo disinvolto delle finanze vaticane, tra cui cento milioni di sterline per operazioni immobiliari a Knightsbridge, il quartiere più caro di Londra (fonte Financial Times); nonchè per il mezzo milione di euro non contabilizzato finito nella disponibilità della sedicente filantropa Cecilia Marogna, titolare di una società slovena (Logsic) che finanzia operazioni umanitarie e, pare, anche l’acquisto di poltrone Frau, borse Prada e scarpe Tod’s. Intervistata dal Corriere della Sera, Cecilia Marogna si difende dapprima con orgoglio nazionalista (“ho acquistato solo prodotti italiani”), poi dice che le operazioni del Vaticano non sono contabilizzate per definizione, che lei non poteva certo emettere delle fatture, che doveva “pagare delle persone in Africa, gestire delle crisi, fare dei bonifici”. Viene in mente quella scena di “Ecce Bombo” in cui la ragazza risponde a Nanni Moretti che le chiede cosa fa nella vita: “Mah, te l’ho detto: giro, vedo gente, conosco, faccio cose”.

Questo “scandalo” sta riempiendo le pagine dei giornali anche per la pozza pruriginosa nella quale sempre si tuffa la stampa quando di mezzo c’è una donna, immancabilmente soprannominata “Dama Bianca”. In realtà, la guerra di papa Bergoglio contro la corruzione e il riciclaggio di denaro nella Chiesa ha conosciuto atti ben più pesanti: fra tutti, ricordiamo l’azzeramento dei vertici dello IOR, che nonostante l’acronimo (Istituto Opere Religiose) è passata alla storia come la banca lavatrice delle più luride masse di denaro mai transitate dal sistema finanziario ufficiale, altro che opere religiose. Quando la parte conservatrice della Chiesa ed i suoi Socci di corte tuonano contro la sua presunta eresia, l’ignoranza dottrinale, uno schiaffetto dato in diretta tv ad una fedele troppo invadente (scandaloso atto di violenza in una Chiesa squassata dagli abusi sessuali ai danni di minori); quando addirittura lo accusano di essere “comunista” e di voler aprire le frontiere agli infedeli straccioni o fanatici, quando lo accusano di considerare un valore il “meticciato”, cosa che in effetti afferma nella sua recentissima enciclica “Fratelli tutti”, più che un novello manifesto comunista una declinazione ramificata dei concetti ritrovabili in sintesi nel testo di “Imagine” di John Lennon (con la significativa eccezione della “imagine no religion too” che sarebbe stato eccessivo aspettarsi dal Papa); quando lo accusano di tutte queste nefandezze, dovete tradurre. Quando i nemici ti attaccano sui princìpi, sull’ortodossia, sulla morale, sui dogmi, devi tradurre simultaneamente: ti stanno attaccando sui soldi, sui vizi, sul potere. I loro soldi, i loro vizi, il loro potere, che vedono messi in pericolo.

Papa Bergoglio ci sta provando, con inevitabili errori (soprattutto di politica interna) ma con una premura ed una fretta inversamente proporzionali al tempo che gli resta da vivere: più si avvicina la sua fine (spero naturale), più fretta ci mette nel cercare di restituire un minimo di dignità ad una istituzione che perde progressivamente presa proprio perchè ha fatto strame della sua etica, della coerenza tra i princìpi e le azioni, della propria autorità morale. Pochissimi sono i leader che, una volta assurti ai vertici di uno Stato o di una organizzazione, manifestano quell’indipendenza rispetto alle cambiali da onorare, ai debiti da pagare, alle mani da baciare (quelle mani che li hanno sostenuti e appoggiati nella rincorsa alla vetta) necessaria per tagliare le corruttele, interrompere i ladrocinii, punire i violentatori. Tra quelli che hanno intrapreso questa gigantesca iniziativa dal secondo dopoguerra, a me veniva in mente Gorbaciov.  Adesso mi viene in mente anche Papa Francesco, e quindi, come lui spesso chiede, prego – agnosticamente – per lui.

in copertina: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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