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Nel 2017, l’allora Presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem, disse al Frankfurter Allgemeine: «Durante la crisi dell’euro i Paesi del Nord hanno dimostrato solidarietà con i Paesi più colpiti. Come socialdemocratico do molta importanza alla solidarietà, ma hai anche degli obblighi, non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto».

Credo ce l’avesse soprattutto coi ciprioti e i greci (leggenda narra che con l’allora ministro delle finanze greco Varoufakis siano arrivati quasi alle mani), ma si riferiva anche a noi italiani, secondo il vecchio adagio “una fazza una razza”. Mi piacerebbe dire, come George Best, “ho speso gran parte dei miei soldi in alcol, donne e macchine veloci, il resto l’ho sperperato”. Peccato che la macchina più veloce che ho avuto era una Scirocco rossa con la testa del motore perennemente surriscaldata e un buco sotto la pedaliera, dove ad ogni pioggia fiorivano muschi e licheni; che spesso mi faccio prestare soldi dalle donne, avendo il portafoglio costantemente vuoto; e che per l’alcol faccio fare a un paio di amici, che di vino e whisky se ne intendono. E pensare che la filosofia autoironicamente enunciata dall’irlandese George Best io l’avrei attribuita ai connazionali di Dijsselbloem molto più che a noi italiani.

Probabilmente sia io che Dijsselbloem siamo vittime degli stereotipi. Lui è vittima di un miscuglio tra La Dolce Vita e qualche racconto di villeggiante olandese di ritorno dalla Romagna (anche se lì la parte sesso poteva avere un’origine italica ma sulla parte alcol, mi spiace Dijsselbloem, le tue connazionali non temono rivali). Io di un mix tra i coffee shop, le donne in vetrina di Amsterdam e il calcio totale dell’Olanda anni settanta, che evocano tutti l’immagine di un popolo libero, disinibito e gaudente. In realtà, a differenza degli altri calciatori che vivevano come in una caserma (calcio balilla, carte e onanismo) i calciatori olandesi si portavano le mogli e le fidanzate in ritiro e quindi, al confronto, sembravano dei rivoluzionari. In realtà la nazionale Orange (e l’Ajax) di quegli anni giocavano semplicemente a chi fa un gol in più dell’avversario, e non a chi ne prende uno in meno. Quindi al confronto sembravano degli alieni. Johann Cruyff pare fosse un conservatore, ma se vai a giocare al Barcellona nella Spagna del generale Franco e tuo figlio che nasce lì lo chiami Jordi (nome catalano, lingua allora vietata dal regime franchista) diventi un’icona dell’antifascismo. A pensarci bene non sembravano rivoluzionari, quindi: lo erano, ed erano dei rivoluzionari con le palle, perché se vai contro la morale e i costumi del tuo tempo devi essere più bravo degli altri. Se sei scarso o solo bravino e fai l’eccentrico ti prendono per un coglione, ma se sei il migliore diventi uno che cambia la storia del mondo.

Come si concilia lo spirito libertario di questo popolo con la severità del suo Governo nel parlare di vincoli di bilancio, di “frugalità” nell’amministrazione dei conti pubblici e nello stesso tempo con la capacità di attrarre investitori dall’estero? Si concilia, eccome. Nei Paesi Bassi – come è più corretto chiamarli – hanno un fiuto ancestrale per gli affari. La prima bolla speculativa, gonfiatasi e scoppiata molto prima della finanza strutturata, è nota come “la bolla dei tulipani”, e deriva dal fatto che questo fiore, importato dalla Turchia a metà del sedicesimo secolo, divenne in breve tempo un prodotto di pregio (favorito in ciò da una malattia dei petali che ne cambiava la pigmentazione rendendoli belli e rari) e uno status symbol tra le famiglie olandesi facoltose. Divenne talmente richiesto che chi speculava riusciva a realizzare profitti enormi anche semplicemente vendendo l’intenzione di piantare dei bulbi, che può essere considerato il prototipo di quella fattispecie conosciuta in finanza come vendita del future e che allora fu chiamata con il suggestivo ed inquietante nome di “commercio del vento”. Un bulbo arrivò a valere 6.000 fiorini, quando lo stipendio medio era di 240 fiorini l’anno. In proporzione, 25 stipendi da 25.000 euro l’anno, una follia. Infatti esplose, e quando tutti iniziarono a vendere il prezzo crollò molto più rapidamente di quanto fosse salito e un mucchio di gente andò in rovina.

Più che altro parlerei di scaltrezza, disinvoltura, attitudine al rischio. Quanto alla severità, quella il Governo olandese la esercita verso i bilanci dei Paesi cui sottraggono ogni anno decine di miliardi di entrate fiscali, perché oltre 15.000 aziende hanno trasferito sede legale o fiscale in un quartiere di Amsterdam, e pagano lì le tasse. La ragione di questo affollamento di imprese risiede nel vantaggioso regime fiscale dei Paesi Bassi, che azzerano le tasse sul trasferimento delle royalties sui brevetti e le minimizzano sui dividendi e relativo trasferimento ai paradisi fiscali con le palme – di cui i Paesi Bassi non vengono considerati formalmente parte non per mancanza di palme, ma perché lo scambio di dati col sistema fiscale internazionale è trasparente. Non c’è bisogno di schermature: è tutto perfettamente legale. Per dirla alla Morrissey, i cui testi a volte illuminano come folgorazioni le cose alla maniera dell’arte, “educated criminals work within the law” (The world is full of crashing bores). Finora gli è andata bene sia perché gli è stato concesso di farlo, sia perché devono amministrare 18 milioni di abitanti (relativamente pochi), sia perché l’economia del mondo non era implosa. Sfortunatamente ora lo è, ed il pane è diventato più importante dei tulipani.

Cover: elaborazione di Carlo Tassi

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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